Cultura e Spettacoli

Mafie, dialetto e regionalismi: così il giallo italiano conquista la Francia

Al «Quais du polar» sono ospiti d'onore i nostri scrittori noir, da Lucarelli a Carrisi a Criaco Perché siamo «il Paese dei segreti»

Mafie, dialetto e regionalismi: così il giallo italiano conquista la Francia

I fiumi di porpora, Les Rivières pourpres, per citare un thriller francese che ha fatto scuola, sono il Rodano e la Saona, alla cui confluenza s'insinuano i palazzi, le vie e i misfatti di Lione. Grand guignol, crimini e calici di Côte du Rhone. Cin cin. Benvenuti al «Quais du polar», il festival della letteratura poliziesca, distintivo all'occhiello della città dove Edmond Locard fondò nel 1910 la prima polizia scientifica d'Europa. Qui ogni anno si radunano i migliori scrittori del polar, che in francese è la fusione dei termini policier e noir, e nel resto del mondo si dice thriller, poliziesco, hard-boiled... Tutte le sfumature del giallo. Che da noi è una moda, un business editoriale e una scuola.

Infatti l'Italia è quest'anno il Paese ospite del festival: da venerdì a oggi tre giorni di incontri, reading e presentazioni per indagare su come e perché, dalla Valle d'Aosta del vicequestore Rocco Schiavone creato da Antonio Manzini, alla Palermo criminale di Giuseppe Di Piazza, il giallo italiano è così amato Oltralpe. Petits meurtres à l'italienne... «A lungo in Francia l'unico punto di riferimento per la letteratura gialla italiana è stato Andrea Camilleri - racconta la charmant e giovanissima direttrice del Festival du polar, Hélène Fischbach - ma da qualche anno sono molti i giallisti italiani tradotti. Ecco: volevo far vedere ai lettori francesi che il giallo italiano non è solo Montalbano...». Ma perché vi piacciono così tanto i nostri polizieschi? «Perché non raccontano solo un fattaccio di sangue o un'inchiesta, ma sono anche un tour attraverso l'Italia. Mentre la Francia significa Parigi, al massimo Marsiglia, l'Italia significa venti regioni diverse. Coi suoi commissari e brigadieri, i suoi borghi, i suoi delitti, i suoi piatti, i suoi dialetti...».

Già, come si fa ad apprezzare i cento dialetti - toscano, romanesco, calabrese, napoletano, siciliano... - che insaporiscono i gialli italiani? E come si traducono? «Il problema - spiega Serge Quadruppani, venti autori italiani tradotti all'attivo - l'ho affrontato con Camilleri. E, risolto lui, poi risolvi tutti. Visto che quella di Montalbano non è una lingua vera, il siciliano, ma inventata, il camillerese, io traducendo ne ho creata una simile, in francese. Usando termini popolari, o parole che si usano nel sud della Francia. Non bisogna tradurre letteralmente, ma inventando un po'. E picciriddu diventa minot. Il trucco è tutto qui. E vale per tutti i dialetti italiani».

Gli italiani fanno bande à part, e qui a Lione sono tutti insieme. Quindici autori, decine di libri tradotti, migliaia di copie vendute. C'è Maurizio De Giovanni, passion et délit d'honneur. C'è Luca Di Fulvio, uno fra i più apprezzati dell'ultima ondata. C'è Donato Carrisi, il thrillerista italiano più venduto in Francia, oltre un milione di copie: «Il lettore è sempre uguale, di qua e di là dalla frontiera: vuole essere sorpreso, non guidato, inciampare nella storia, non guardarla da fuori... Sono gli scrittori a essere diversi: i francesi più attenti alle coscienze dei personaggi, gli italiani alla psicologia». C'è Carlo Lucarelli, quasi tutto tradotto, sicuro che se piacciamo così tanto «è perché siamo il Paese non dei misteri, quelli ce li hanno tutti i Paesi, ma dei segreti, in cui siamo specialisti: dal rapimento Moro alla strage di Bologna fino a Ustica. Tutti casi che siccome non sono mai stati risolti si prestavano a narrazioni incredibili. Alle inchieste ufficiali manca sempre un tassello. Quello che aggiunge il bravo scrittore». E c'è Gianni Biondillo, la fashion au fusil à pompe: quattro gialli tradotti, due diversi editori, un'idea sul perché i gialli italiani funzionano così bene qui: «All'inizio i francesi si sono sorpresi che dentro i nostri libri non ci fosse più posto per lo stereotipo pizza mafia e mandolino. Quando hanno cominciato a vedere che nei miei gialli c'è la moda, piazza Gae Aulenti e i grattacieli, sono rimasti sorpresi. Ma poi gli è piaciuto». L'unica cosa che resiste, come ha scritto Le Progrès, il quotidiano di Lione, è la «spécialité locale, la mafia». Meglio, le mafie. Ecco Gioacchino Criaco, da Africo, specializzato narrativamente in 'ndrangheta, che con Anime nere ha sdoganato il noir calabrese, cinque titoli tradotti: «I francesi sono attratti dal mistero e dal misticismo che trovano nell'Aspromonte e nella terra dell'antica Grecia. Che non conoscono e che scoprono attraverso i libri gialli. Ed è così: la complessità del mondo non si racconta dall'alto, col tutto, ma aggiungendo piccole tessere, che sono le letterature regionali, per completare il mosaico di un intero Paese».

È già difficile raccontare il nostro Paese agli italiani. Figuriamoci ai francesi, che leggono di più, che sono disposti a pagare mediamente un libro più caro che da noi, che fanno la fila fuori dal Palais de la Bourse per vedere Marco Vichi o Sandrone Dazieri e che finalmente si sono liberati anche del (falso) mito di Cesare Battisti, scrittore italiano criminale, in entrambi i sensi, sparito dai media e dalle librerie... Eppure il nostro giallo, o meglio i nostri gialli, regionalmente così diversi uno dall'altro, tutti insieme alla fine compongono il puzzle perfetto. Una straordinaria topografia criminale del contemporaneo.

Abbiamo esportato la mafia e la pizza. Chi l'ha detto che coi romanzi, al di là delle divergenze di colore fra il noir e il giallo, sia più difficile?

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