Cronaca locale

Per Malara è giunta l’ora di scoprire i Navigli

«Mi fermo in via Francesco Sforza, batto col piede sull'asfalto e dico: "Naviglio, mi senti? Vecchio Naviglio, ti ricordi di me?"... Poi immagino di chinarmi e di poggiare l'orecchio a terra: sento sospirare e ridere». È parte di quella «letterina d'amore» che Giuseppe Marotta scriveva nel 1949 a Milano, la città che un quarto di secolo prima l'aveva accolto, poco più che ventenne, e ne aveva fatto uno dei suoi figli illustri. Perché lui, un «terrone», era riuscito a capire e ad amare la città di Ambrogio più di tanti meneghini doc. E a rimpiangere, più di loro, la morte, cioè la copertura del Naviglio, che abbracciava tutto il cuore ambrosiano. In quegli anni di febbrile e selvaggia ricostruzione postbellica non c'era dubbio che la sorte del Naviglio fosse quella di un archiviato e solido de profundis. Ma oggi l'idea di riaprire quella tomba - almeno nei suoi tratti di particolare pregio ambientale, di fascino rinascimentale come De Amicis, Molino delle Armi, Santa Sofia, Francesco Sforza, Visconti di Modrone, San Damiano - sembra aver lasciato lo scaffale delle utopie. Lo testimonia il bel libro dell'architetto Empio Malara «Il Naviglio di Milano» (Hoepli, 55 euro), con foto di Toni Nicolini, che sarà presentato oggi alle 18 nella libreria di via Hoepli 5 dagli autori e da Andrea Bosco, Sergio Escobar e Marco Romano. Un volume che ripercorre, partendo dalla prefazione del sindaco Letizia Moratti, i nove secoli dell'intenso rapporto che Milano ha avuto con le sue acque. E lo fa attraverso una fitta, curiosa, sorprendente trama di progetti, mappe, documenti, quadri e fotografie, oltre che con una preziosa antologia di scritti sulla Cerchia dei Navigli dal XVII al XXI secolo. Pagina dopo pagina per riscoprire, come scriveva anni fa Ferruccio de Bortoli, quell'«Atlantide milanese», città d'acqua e di giardini, ormai scomparsa. Ma l'anima del libro, che è, come scrive il sindaco, «un atto d'amore per Milano», non è nel passato: è nel domani. Non si tratta però, precisa l'autore, di un recupero voluto e imposto da un'ossidata nostalgia. Lo impongono ragioni reali, concrete, cioè tipicamente meneghine, come la riduzione del traffico (lo stesso obiettivo dell'Ecopass), il rilievo ambientale, aspetti estetici, valori turistici, l'Expo.

Scrive Malara: «La domanda che viene spontanea è: si potrebbe riavere un Naviglio interno funzionante? Adatto alla navigazione, alla produzione di energia e all'alimentazione idrica? Io penso di sì e con me sono molti amici dei Navigli».

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