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La maledizione di Katyn decapita la Polonia

Katyn pesa come una maledizione sulla Polonia. Settant’anni fa, nella foresta di questa località in Russia, ventiduemila ufficiali polacchi sterminati dai sovietici. Ieri, la tragica fine del presidente Lech Kaczynski e del suo seguito, tra cui il capo di Stato maggiore, che si recavano a rendere omaggio alle vittime di quell’eccidio. Una fine su un aereo russo, in territorio russo, nei pressi di Katyn. Un patriottico pellegrinaggio della memoria finito prima ancora di cominciare. Adesso, decimato il vertice politico e militare del Paese. Settant’anni fa, trucidato il fiore della gioventù polacca. I ventiduemila erano quasi tutti ufficiali di complemento: avvocati, ingegneri, medici, professori, l’élite istruita e intellettuale, futura classe dirigente. L’Armata rossa li aveva fatti prigionieri, trasferendoli poi in Russia, assalendo il 16 settembre 1939 da Est la Polonia già piegata dai nazisti con l’attacco del 1° settembre da Ovest: Stalin si prendeva la sua parte di bottino concordata con Hitler nell’accordo dell’agosto 1939, annettendosi il territorio occupato. Quei ventiduemila andavano eliminati perché patrioti e avversari del regime comunista. Agghiacciante il rapporto di Beria a Stalin, reso noto piangendo da Eltsin a Varsavia nel 1992: «Bisogna ucciderli perché inveterati e incorreggibili nemici del potere sovietico». Era la prima volta, ieri, che un presidente della Polonia poteva rendere omaggio sul luogo alle vittime. E finisce così in tragedia una disputa interna polacca sul rapporto con Mosca. Kaczynski infatti non aveva partecipato, mercoledì scorso, a una cerimonia a Katyn col suo primo ministro, Donald Tusk, e Vladimir Putin, all’insegna della riconciliazione. E così era stata organizzata una seconda commemorazione, senza esponenti del Cremlino. Tusk, politicamente avversario di Kaczynski, è per un rapporto più distensivo con Mosca, mentre l’altro, coltivando diffidenze e risentimenti, era fermamente filo americano: quando Obama, mesi fa, aveva cancellato il piano antimissile da installare in Polonia, non aveva nascosto la sua irritazione, ottenendo poi che, entro il 2018, siano installate batterie antimissile Patriot.
Mercoledì era comunque la prima volta che un capo di governo russo rendeva omaggio alle vittime di Katyn. I due premier avevano posto la prima pietra di una chiesa sul luogo dell’eccidio, e Putin aveva condannato la strage compiuta «da un regime autoritario», per il quale «non deve essere colpevolizzato il popolo russo». Niente scuse o richieste di perdono, però; anzi, come a stabilire un’equazione, ha ricordato che negli stessi luoghi, nella guerra russo-polacca degli anni Venti, erano stati uccisi dei militari russi. E si capisce allora la mesta risposta di Tusk: «Abbiamo ancora molta strada da fare sulla via della riconciliazione».
Tra i due Paesi i contrasti sono secolari: abolendo la festività del 7 novembre, giorno della rivoluzione bolscevica, Putin l’ha sostituita col 4 novembre, quando forze polacche furono cacciate da Mosca nel 17° secolo. Durante la guerra Stalin fu sempre avverso al governo polacco rifugiato a Londra, rifiutandosi di armare contro i nazisti le migliaia di polacchi nei gulag. Solo nel 1943 inglesi e americani riuscirono a organizzare, con questi prigionieri, il Corpo di spedizione polacco che via Iran fu portato in Italia. Nel 1945 a Jalta, Stalin stabilì che la parte di Polonia che si era annesso nel 1939 restasse sua. Nei decenni di dominio sovietico, Katyn è sempre stata il nervo scoperto tra i due Paesi, col Cremlino fermo nell’attribuire ai nazisti l’eccidio, e la Polonia costretta a fingere di accettare questa versione. Solo nel 1990 Gorbaciov fece le prime ammissioni, finché nel 1992 Eltsin, in visita a Varsavia, piangendo rivelò parte dei documenti.

Dopo 70 anni, a riconciliazione appena agli inizi, Katyn ha voluto altre vittime.

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