Controcultura

Una «mamma» di certo «amica» ma non madre

Se si può in qualche modo parlare di tv generazionale, la fortunata serie Una mamma per amica aspira legittimamente al ruolo di programma cult fin da quando, nel 2000, debuttò in America. Nel 2007 la fiction si era interrotta e ora Netflix sta riproponendo i nuovi quattro episodi ambientati nel presente.

I fan dunque riconosceranno gli stessi personaggi e lo stesso luogo, Stars Hollow, la città immaginaria del Connecticut in cui la vicenda, ormai familiare, è ambientata, con le sue stravaganze e quel po' di follia tipica delle atmosfere di provincia, le abitudini, le ambizioni, la voglia di fuggire e la consapevolezza di non farcela. Anche questa volta la storia gira attorno alle due donne, Lorelai la madre, ovviamente divorziata, che ebbe Rory appena diciassettenne e che dunque, grazie a questa piccola differenza d'età, parla lo stesso linguaggio della figlia, si interessa dei suoi sentimenti e dei suoi fidanzati, per una complicità certo autentica, ma a tratti innaturale. Attorno a loro il mondo dei maschi risulta ridicolo, banale, eterno incompiuto, ma in fondo lo si può capire, visto che al centro, questa volta, ci sono le donne.

Nei nuovi episodi Rory è diventata grande, una trentenne ancora alla ricerca di se stessa e senza un'identità precisa. E dunque la banalità dei discorsi, pienamente attualizzati dalla comparsa di smartphone, siti web, Uber e di altri indicatori temporali, riflette quella piattezza dell'attuale che spesso viene additata come uno dei più evidenti limiti delle generazioni recenti. E visto che a scendere si fa sempre in tempo, è avvenuto proprio questo: la madre si è abbassata al livello della figlia, che a sua volta non nutre particolari aspettative nei confronti di se stessa, e appare persino rassegnata.

Peraltro la forza di Una mamma per amica sta proprio nei suoi stessi limiti. Dialoghi talmente banali da risultare surreali, con un tono così querulo e pettegolo ben oltre l'irritante. Mancano giusto gli applausi artefatti sullo sfondo per trasformare la serie nella più ovvia delle sit-com. Eppure la sua inventrice, Amy Sherman-Paladino, deve avere ben chiare le dinamiche che si instaurano nei complicati rapporti tra madri e figlie. Ciò che indubbiamente appare strano, ma forse il punto di vista è troppo maschile, è che non vi siano più segreti, zone d'ombra, riservatezze tipiche di tutte le divisioni generazionali, visto che oggi sapere tutto di tutti è prassi, il privato è in piazza, disponibile a ogni commento e considerazione.

Però a me piace pensare che le madri facciano le madri, svolgendo un ruolo di educatrici e non di complici, tentando di trasmettere sicurezza e centralità, non stati d'animo precari da nevrotiche irrisolte.

Dal punto di vista della fiction, una mamma «vecchio stile» risulterebbe ben poco attraente per il telespettatore di oggi, eppure sappiamo quanto ci sarebbe bisogno di modelli se non più edificanti almeno equilibrati, saggi e stabili.

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