Maroni corteggia Violante ma è solo un fuoco estivo

Come se non bastassero gli incendi boschivi, d’estate si aggiungono i fuochi fatui. Fanno notizia, ma poi spariscono. Non desta meraviglia che, in una sorta di gioco delle coppie, agli onori delle cronache per un momento sia balzato il duetto tra il diessino Luciano Violante e il leghista Roberto Maroni riportato dal Corriere della Sera. Quasi una corresponsione di amorosi sensi tanto sensazionale quanto improbabile. Perché si sa che a Umberto Bossi piace fare il regista. E nella commedia umana si diverte a collocare a sinistra Maroni e a destra Calderoli. Due Roberti in competizione tra loro. Che sia tutta una sceneggiata lo prova il fatto che Maroni può essere definito un Giulio Andreotti in formato sedicesimo, un uomo per tutte le stagioni. Oggi civetta, o per meglio dire finge di civettare con Violante.
Ma ai tempi della Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, Maroni era pappa e ciccia con l’ex missino Pinuccio Tatarella. I due, d’amore e d’accordo, giocarono uno scherzo da prete al centrosinistra. All’ultimo momento la Lega aggiunse i suoi voti a quelli del centrodestra. Così s’impose l’elezione popolare diretta del capo dello Stato. Insomma la forma di governo presidenziale o semipresidenziale prevalse sul premierato di marca britannica. Quel premierato, previsto dalla riforma costituzionale della Casa delle libertà per venire incontro ai desiderata della coalizione avversaria, al quale il centrosinistra oppose un gran rifiuto per il semplice motivo che non era più farina del suo sacco.
Acqua passata, si capisce. Con Talleyrand, Violante e Maroni potrebbero ripetere che non sono cambiati loro, ci mancherebbe. No, sono cambiati i tempi. Ciò non significa che il leghista, pur prodigo di complimenti, lisci sempre per il verso giusto il diessino, che è stato presidente della Camera. All’occorrenza usa il vetriolo: «Ne fece di cotte e di crude. Fece il presidente da vero comunista, da partigiano, nel suo stile, interpretando il regolamento come più gli conveniva». Basterebbe questa frase per smentire una supposta intesa cordiale. Diremo di più. Maroni è oltremodo ingeneroso.
Forse perché aspirava a più alte cariche, come a suo tempo insinuarono i maligni, Violante nel suo discorso d’insediamento dichiarò che andavano comprese le ragioni che indussero tanti giovani ad aderire alla Repubblica sociale. E fu strenuo sostenitore di modifiche regolamentari, poi in effetti approvate da Montecitorio, tali da consentire al governo e alla sua maggioranza di tradurre in concrete misure legislative l’indirizzo politico annunciato alla vigilia delle elezioni, e all’opposizione di controllare a dovere l’operato del potere esecutivo. Ma Violante vuole sempre strafare. Perciò si improvvisò fonte del diritto. Insomma, creò a capocchia norme giuridiche concepite come instrumentum regni. E qui casca l’asino. Perché quelle prassi instaurate a bella posta nella passata legislatura, ai tempi del secondo e terzo governo Berlusconi, si ritorsero contro il centrosinistra. A riprova che gli apprendisti stregoni sono a volte vittime dei loro stessi artifici. Come la donna, la politica italiana è sì mobile qual piuma al vento. Ma Violante non s’illuda: non siamo ai giri di valzer. Maroni si diverte a giocare al gatto con un topo, l’Unione, destinata a essere spazzata via dal governo alle prossime elezioni.


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