Matteo ha vinto la sua sfida

Dallo show pre-elettorale del sindaco di Firenze spariscono simbolo e bandiere democrat. Colpiti a morte gli oligarchi del partito, ormai coalizzati contro di lui

Matteo ha vinto la sua sfida

Il punto politico essenziale, il cuore della proposta di Matteo Renzi non sta nel programma, che pure se­gna una rottura clamorosa rispetto alla linea neosocialista di Bersani, e neppure nel mood esplicitamente americano della convention di Verona che ieri lo ha lanciato nella lunga corsa verso Palazzo Chigi. La vera novità, la chiave per comprendere Renzi e immaginarne il futuro politico sta in una scelta grafica e scenografica apparentemente minore, e quasi casuale: nessun simbolo del Pd fa mostra di sé sui manifesti o sul camper, nessuna bandiera del Pd adorna il palco o la platea di Verona.

Il senso e le conseguenze di questa clamorosa omissione sono almeno due: Renzi ha scelto di impostare la sua campagna per le primarie non come un processo tutto interno al partito, più o meno burocratico e più o meno autoreferenziale, ma come la prima fase della sua campagna per Palazzo Chigi. Che, dunque, potrebbe procedere in ogni caso. La seconda conseguenza è che il Pd non c’è più. Il rottamatore l’ha già rottamato nei fatti e nei simboli, e con un colpo di gomma da cancellare ha archiviato un intero capitolo della storia politica recente. Renzi volta pagina, e bruscamente. Il suo orizzonte non è più il bipolarismo tribale che ha segnato la Seconda Repubblica, né l’eterno e stucchevole quiz sulle alleanze (con Vendola o con Casini o con tutti e due?),e neppure l’antica, e in Italia particolarmente insensata, distinzione fra «destra» e «sinistra».

Il mondo di Renzi è molto diverso da quello, integralmente novecentesco, di Bersani, dove un residuo id­eologico costringe a ripetere i rituali di sempre: nel mondo di Renzi sono «lavoratori» tanto gli operai quanto gli imprenditori, tanto i commercianti quanto gli artigiani; l’uguaglianza è sempre uguaglianza di opportunità, mai livellamento e cancellazione del merito;la modernità non è un terremoto maligno che distrugge i diritti ma un’opportunità che li moltiplica; libertà d’impresa,creatività individuale e solidarietà sociale non soltanto convivono, ma costituiscono le condizioni migliori per la crescita.

Accusare Renzi di essere «di destra », come a sinistra si fa sempre più spesso per esorcizzarne la novità, può servire a scaldare qualche militante ma manca completamente il bersaglio. In Italia esistono due sinistre, e i tentativi di farle governare insieme sono sempre miseramente falliti: di questo prese atto Veltroni andando alle elezioni senza Bertinotti. È dunque Bersani, stringendo l’alleanza con Vendola, a smentire clamorosamente la ragione sociale del Pd, non Renzi.

Nel programma che ieri il sindaco di Firenze ha pubblicato sul suo sito ci sono molte cose ragionevoli, altre scontate, altre ancora incompiute. Per esempio, manca ancora la consapevolezza che tasse e burocrazia sono il vero cancro del Paese, e che l’unica soluzione praticabile è una drastica riduzione della spesa pubblica e del perimetro dell’intervento statale nelle nostre vite. Ma l’impronta è chiara, e se è difficile trovare un’etichetta già pronta (lib-lab?riformisti? moderati? o magari liberali di sinistra?) è perché la scommessa di Renzi è costruire un nuovo schieramento libero dal ricatto delle minoranze organizzate (per esempio la Cgil e la Fiom) e aperto invece alla stragrande maggioranza degli italiani. Da qui l’invito agli elettori del Pdl delusi da Berlusconi, ma anche, naturalmente, ai tanti elettori del Pd delusi da Bersani.

È davvero difficile che il Pd resista ad un’onda d’urto così violenta. Non soltanto per la forza oggettiva delle posizioni di Renzi, ma anche, e forse soprattutto, per l’estrema fragilità di quel partito, sempre più somigliante ad un mobile antico popolato di tarli. Il segno più vistoso di questa debolezza è la decisione dell’intero gruppo dirigente di cancellare ogni distinzione per unirsi contro la minaccia dell’ outsider fiorentino. Dalemiani e veltroniani, lettiani e bindiani, vecchie cariatidi e giovani turchi, fra loro divisi sul governo, sulla legge elettorale, sulle alleanze, sul sindacato, sulla politica economica, sui diritti civili e su pressoché ogni altro tema, sono oggi uniti come un sol uomo nel difendere Bersani. Ma è evidente che in questo modo non si fa molta strada. Quel poco di credibilità che ancora avevano, gli oligarchi del Pd se la sono giocata con questa grande ammucchiata dorotea.

Non è detto che Renzi vinca la primarie, ma di certo Bersani le ha già perdute.

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