Economia

Mediobanca fa i conti con Telecom e Rcs

Assogestioni e fondi esteri verso un’unica lista per il cda

da Milano

Il vero tallone di Achille per Mediobanca non è l’America, ma l’Italia. Questo è quanto emerge dalla bozza di bilancio dell’esercizio 2007-2008 pubblicata ieri. Il crac di Lehman Brothers è praticamente influente sui conti della banca d’affari, mentre lo scivolone in Borsa di Telecom e Rcs potrebbe pesare per oltre 560 milioni. Il condizionale è d’obbligo perché Piazzetta Cuccia, che ha in carico il 10,6% di Telco (la holding che controlla Telecom) a 513 milioni e il 14,9% di Rcs a 303,7 milioni (su cui sta perdendo 422 e 144 milioni rispettivamente) ha deciso che per ora non procederà a svalutazioni. Secondo i contabili di Mediobanca, infatti, la partecipazione in Telco merita un premio sulle quotazioni Telecom perché la holding è l’azionista di maggioranza. Ancora, si legge nella relazione, l’investimento nell’operatore tlc è di «medio-lungo termine», dunque non deve essere valutato a mercato. La svalutazione d'altronde sarebbe tutt’altro che indolore, 560 milioni sono pari a più della metà degli utili di Mediobanca attesi per quest’anno dagli analisti.
Queste, in definitiva, sono le criticità emerse nel primo e ultimo bilancio dell’era dualistica, quella del doppio consiglio che verrà sostituito dal ritorno al cda tradizionale con la prossima assemblea del 28 ottobre. Un’assise chiamata appunto a cambiare la governance. E ieri si è appreso che Assogestioni potrebbe presentare una lista unica con i fondi azionisti di Mediobanca, per occupare l’unico posto per le minoranze tra i 22 del futuro cda.
Nonostante l’effetto potenziale sul conto economico, a livello patrimoniale la situazione è ben diversa: «Mediobanca ha le spalle solide, una svalutazione di questa cifra porterebbe il Tier I (indice di solidità patrimoniale) dall’11,3% al 9,6%, un ottimo risultato», spiega un analista secondo cui per bilanciare le perdite in caso di svalutazione difficilmente Mediobanca toccherebbe i gioielli di famiglia come la quota in Generali che, da sola, vanta una plusvalenza di 3 miliardi.
Mediobanca, non avendo raccolta diretta, si finanzia con la vendita di propri bond e certificati attraverso la rete di banche tradizionali. Il gruppo quindi non è al riparo dai timori che stanno mettendo in discussione la validità del modello di banche d’affari, più esposte alla crisi, a favore invece del retail da cui attingere direttamente la raccolta. Questa sarebbe la giusta chiave di lettura per interpretare la strategia del gruppo, intenzionato a espandersi nella raccolta diretta con il lancio di CheBanca!, internet bank con annessi sportelli. La nuova rete, nonostante Nagel parli di crescita interessante, non sta ancora dando alcun dato e finora sui conti si leggono solo i costi del lancio, pari a 54 milioni di euro. Dentro a questo ci sono quelli della sola pubblicità, che ha fatto raddoppiare le spese che per il gruppo Mediobanca non superavano i 17 milioni fino all’anno scorso. Interessanti - come sempre - anche le informazioni sugli stipendi dei manager e del presidente Cesare Geronzi, che ha percepito compensi lordi per 3,2 milioni, poco più dei 3,1 milioni di Nagel e del presidente del consiglio di gestione, Renato Pagliaro.
Da registrare, sul fronte degli azionisti, la presa di posizione di Fabrizio Palenzona, consigliere e vicepresidente di Unicredit (primo socio di Mediobanca), che ha lodato l’iniziativa di Paolo Biasi, grande socio di Unicredit con Cariverona, appena salito oltre al 5% di Unicredit.

Un nuovo segnale di rinnovata compattezza intorno a Unicredit forse in vista di nuove sfide sugli assetti della grande finanza.

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