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Meglio "chiudere" le montagne d’estate

"Forse non c'è mai stato, quanto meno io non lo ricordo, un dramma di così vaste proporzioni come quello degli undici che hanno lasciato la vita sul k2"

Meglio "chiudere" le montagne d’estate

Oggi è toccato al Monte Rosa. Non sulla «parete maledetta» di Macugnaga, ma su un altro versante: quattro alpinisti tedeschi sono crollati in un crepaccio, uno via ha lasciato la vita, i tre compagni sono in condizioni gravi. A questo punto bisognerà ricordare, e non è ancora finita, quest’estate 2008 come una delle più nefaste della storia della montagna. E magari fare una riflessione sull’opportunità di «chiudere» le vette durante i mesi più caldi (e quindi più pericolosi a causa della possibilità di valanghe).

Forse non c’è mai stato, quanto meno io non lo ricordo, un dramma di così vaste proporzioni come quello degli undici che hanno lasciato la vita sul K2, con i quali c’era anche un italiano esperto come Marco Confortola che invece fortunatamente ce l’ha fatta, con il quale là mi trovavo quattro anni fa, dove la spedizione italiana di Da Polenza onorò sulla vetta la vittoria italiana di mezzo secolo prima. Allora il caro Marco non potè essere con loro, perché una bufera di vento gli aveva strappato la tenda e per continuare a vivere dovette scendere anzitempo.

Mi ha rattristato moltissimo lo scorso mese la fine del «delizioso» Karl Unterkircher, di straordinaria bravura, unico al mondo ad avere scalato, più o meno di seguito, Everest e K2. Lo ricordo al ritorno da quell’impresa, lo incontrai a quota 3.800, accettò con un sorriso una tavoletta di cioccolato e poi si accese una sigaretta. Amichevolmente lo rimproverai di fumare a quella quota, ma lui mi disse che quando aveva finito il suo compito, voleva sentirsi totalmente libero.

Vorrei comunque evidenziare che ogni attività umana, normale o eccezionale che sia, ha stabilmente una percentuale di persone che pagano con la vita, ogni weekend sulle strade, saltuariamente in mare e sempre in montagna. Spesso per insufficienza di preparazione o di conoscenze tecniche, altre per eccesso di fiducia. Senza temere di vantarmi, parlo anche con lo spirito di chi ha l’onore di essere presidente onorario della prima scuola di roccia italiana nata nel 1942, quella dedicata a Giorgio Graffer, valoroso alpinista e medaglia d’oro nell’Aeronautica italiana.

Nella storia dell’alpinismo sono caduti personaggi straordinari come Emilio Comici o Giusto Gervasutti, ambedue morti per eccesso di disinvoltura in una corda doppia. Altri egualmente eccezionali sono ancora con noi, da Walter Bonatti a Riccardo Cassin, prossimo ai cento anni, fino a Reinhold Messner, il quale peraltro ha perduto due fratelli ambedue in parete, uno colpito da un fulmine, l’altro travolto da una valanga. In questa che ho ribattezzato «estate maledetta» va comunque sottolineato che il K2 è da sempre la montagna più nefasta e che conta la maggior percentuale di caduti, tanto fra coloro che sono arrivati in vetta quanto fra coloro che la vetta non l’hanno mai raggiunta. E non è da sottovalutare il fatto che le scalate agli 8mila si preferisce affrontarle in mesi che non siano quelli dell’estate piena. Ancor più drammatico ricordare il particolare che tutte le poche donne giunte sulla vetta, come la straordinaria polacca Wanda Rutzkiewitz, non sono poi più tornate. Unica straordinaria eccezione l’italiana Nives Meroi, la quale, sempre con il fedele marito, ha già vinto una nutrita serie di «ottomila» e alla quale auguro di uguagliare il mitico Reinhold Messner ed essere quindi la prima donna al mondo ad aver vinto tutti i 14 «ottomila» della terra.

Va considerato poi l’eccesso di disinvoltura che talvolta «colpisce» i praticanti del verticale. Molto importanti infatti restano la preparazione e misurare esattamente ciò che si vuole. Se uno è Manolo, trentino italiano pure lui, può permettersi a cinquant’anni d’età di salire una via nuova di un decimo o dodicesimo grado. È avvenuto lo scorso febbraio e nessuno è ancora riuscito a ripeterla. Però, indipendentemente anche dalle conoscenze, il rischio è sempre in agguato e se arriva la tragedia, non ci si può lamentare troppo o drammatizzare più di tanto. È la dura legge della montagna.

In ultimo non bisogna dimenticare il progresso tecnico ormai raggiunto in questa disciplina: valga per tutti il rapporto condotto da Agostino Da Polenza, in vetta al K2 esattamente 25 anni fa, che gli ha permesso di essere vicino agli sfortunati Walter Nones (già in vetta al K2 nel 2004) e Simon Kehrer, stando a Bergamo e contribuendo al loro salvataggio.

A dimostrazione che la tecnologia sovente riesce a risolvere problemi che una volta sarebbero stati fatali.

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