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Meglio Putin di Bush?

Meglio Putin di Bush?

«Israele può vivere senza zio Sam?». È la domanda che in questi giorni sembra interessare tanto i media israeliani che quelli esteri. Ma non turbare gli ambienti politici locali.
Non c’è da stupirsi che il tema sia di attualità. Anzitutto perché gli Stati Uniti sono entrati - con molto anticipo - in epoca preelettorale, nella quale il dibattito è polarizzato fra coloro che in mancanza di altri argomenti se la prendono soprattutto con Bush e la sua impopolare politica. Fra i rappresentanti della destra repubblicana più radicale e fra molti funzionari del Dipartimento di Stato - legati da una lunga tradizione pro araba - Israele non è mai stato visto di buon occhio e la stretta alleanza voluta da Bush è un «capro espiatorio» conveniente per spiegare errori di cui non si vuole portare la responsabilità.
Eppure qualcosa di vero in un cambiamento di rapporti strategici fra Washington e Gerusalemme c’è. Ma in senso contrario da quello descritto da molti organi di stampa. La ragione principale è legata al crollo di prestigio americano nel Medio Oriente per il disastro iracheno e la politica ottusa nei confronti della Russia che recentemente anche Kissinger ha criticato. È dunque naturale che le ricadute siano anche percepite con preoccupazione in Israele. È inoltre evidente che per Washington il problema d’attualità non sia più quello palestinese, ma lo scontro con la Russia. Il che fa diminuire l’interesse per la crisi arabo-israeliana, anche se continua a dire che essa rappresenta un «problema mondiale». La verità è che lo diventa sempre meno, sia a causa della guerra civile palestinese sia a causa delle preoccupazioni americane per la possibilità che i rapporti con l’unico solido alleato nel Medio Oriente cambino per volontà di quest’ultimo. Non si spiegherebbe altrimenti la premura con cui sono stati concessi a Israele fondi per 30 miliardi di dollari per coprire spese militari. Ciò che preoccupa Washington è la possibilità che Gerusalemme incominci a riflettere sui vantaggi che avrebbe spostando il proprio baricentro strategico verso Mosca.
Ci sono almeno sei buone ragioni per farlo.
A La dirigenza di Israele è sempre stata di origine russa. Ma quelli che hanno fondato lo Stato e a lungo diretto il movimento sionista - Ben Gurion, Weizmann e Ben Zvi (i due primi presidenti dello Stato) ecc. - erano ebrei ideologicamente legati alla Russia della rivoluzione del 1905, non del 1917. Erano violentemente antibolscevichi e antirussi, a causa dell’antisemitismo zarista prima e sovietico poi.
Oggi la Russia è presente culturalmente, politicamente, economicamente, artisticamente con una dirigenza - in parte già al governo come Avigdor Lieberman oppure come il miliardario Arkady Gaydamak che sta fondando un suo partito - frutto dell’immigrazione di un milione di ebrei russi rimasti profondamente legati alla terra di origine. Considerano Putin un grande leader, hanno grossi interessi economici> con la madrepatria, criticano l’America di cui denunciano l’ingiustificato espansionismo nella zona tradizionalmente di influenza russa.
B Per gli Stati Uniti il Medio Oriente è una frontiera lontana. Per la Russia è una frontiera accanto a casa. Il suo interesse per la regione è storico, oggi molto più equilibrato che nel passato nei confronti di Israele. Non ha bisogno del petrolio come l’Occidente, perché ne ha da vendere, ma di mantenere alto il suo prezzo per continuare a sviluppare la sua economia e sostenere le sue rinnovate ambizioni imperiali. Fa dunque molto più attenzione a Israele che ai palestinesi.
C Israele per parte sua ha bisogno della Russia più di quanto abbia bisogno in questo momento dell’America. È Mosca che controlla il foraggiamento militare della Siria; che può determinare il corso della pace o della guerra fra Damasco e Gerusalemme. Senza parlare dell’influenza russa in Iran, dove Mosca si è mostrata attenta alle preoccupazioni israeliane per gli isterismi antiebraici del presidente Ahmadinejad.
D Israele è il terzo Paese più avanzato tecnologicamente del mondo. Lo è soprattutto nel campo della tecnologia militare ed elettronica, in cui il contributo degli immigranti russi è importante mentre su di essa il controllo americano è pesante, come si è visto nel caso del veto posto da Washington agli accordi raggiunti con la Cina nel campo dello spionaggio elettronico aereo. La Russia ha dunque interesse a sviluppare rapporti con Israele in questo delicatissimo campo.
E Sul problema del terrorismo islamico Washington e Mosca possono anche collaborare. Ma sul futuro politico delle Repubbliche asiatiche ex sovietiche le posizioni sono contrastanti. Mentre le basi che gli Stati Uniti hanno stabilito in queste Repubbliche e nel Caucaso sono irritanti per Mosca, la presenza israeliana - in gran parte fatta da ex cittadini sovietici provenienti da queste regioni - non è stata ostacolata.
F La Russia, non meno degli Stati Uniti ma molto più dell’Europa, si rende conto che la sfida del futuro non risiede solo in una concorrenza di prestigio e di influenza internazionale fra Mosca e Washington. Risiede nello scontro ideologico, politico, demografico fra l’islam e un Occidente di cui la Russia fa parte per il suo passato e presente cristiano.
Sono queste le ragioni che fanno pensare a certi circoli israeliani che vivere senza lo zio Sam sia non solo possibile ma necessario. Il che non significa che Gerusalemme e Washington siano entrati in «rotta di collisione». Tutt’altro. Sono entrati in una fase di rapporti più equilibrata e nella quale per la prima volta nella sua storia Israele è in grado di fare delle scelte. Gli americani lo sanno e l’enorme finanziamento per coprire parte delle necessità militari israeliane lo dimostra.
R.

A. Segre

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