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Meno male che Al Qaida era solo una favola

Il pacco natalizio firmato Al Qaida non è arrivato a destinazione per un lieve disguido. Nei gentili progetti dei terroristi islamici un aereo sarebbe dovuto esplodere sul cielo di Detroit come una stella cometa e cadere in frammenti fiammeggianti sulla metropoli americana. Pezzi di metallo e nasi, occhi, mani di gente innocente. Partito da Amsterdam il 25 dicembre, nel clima festoso di quelle ore, il velivolo aveva 278 persone a bordo. Una di esse (almeno una) era un passeggero particolare. Nigeriano di 23 anni, Abdul Faruk Abdulmutallab, legato ad Al Qaida e già noto per le sue frequentazioni del mondo estremistico musulmano, portava con sé un «ordigno sofisticato», a detta degli specialisti. Del resto Abdulmutallab aveva le cognizioni necessarie: frequenta l’University College London, dove studia ingegneria. Pare sostenga di aver ricevuto materiale e istruzioni dallo Yemen, la terra originaria di Osama Bin Laden, santuario intatto di questo esercito votato alla nostra morte. Non è riuscito a far scoppiare la bomba nella pienezza della sua potenza, ma gli si sono incendiate le gambe, dove ha ustioni di terzo grado.
Un istante di cronaca per capire la sostanza reale del fatto. È necessario rivedere quegli istanti. A noi pare infatti che quando un attentato fallisce sia una sciocchezza, e sia esagerato alzare il livello di allarme. Sono tutti pronti a dire: è «manutenzione della paura», invenzione dell’intelligence per giustificare se stessa. Una testimone a bordo ha detto: «È stata una scena terrificante. Non pensavamo più di sopravvivere». Sono intervenuti con l’estintore, alcuni altri passeggeri sono rimasti feriti nel bloccare il kamikaze.
Altri elementi in cronaca. Intanto registriamo che il terrorismo raggiunge il suo scopo anche quando non riesce a realizzare il suo obiettivo in termini di lutti. Infatti riesce comunque a modificare la nostra vita intossicandola di timore e tremore, con riflessi sulla nostra esistenza quotidiana. Faremo più fatica a prendere l’aereo. Già così i controlli specie sulle rotte transoceaniche sono asfissianti, figuriamoci adesso: si è appurato che metal-detector e perquisizioni non sono sufficienti, perché esistono prodotti nuovi e micidiali che la fanno franca. Da ieri ovunque si rafforzano le difese, il nervosismo e l’insicurezza sono palpabili. Questo è quel che vuole Al Qaida. Che fare allora?
Fregarsene è sbagliato. Occorre coltivare la sana, razionale paura. Essa dà modo di evitare le superficialità di chi crede che l’islamismo assassino sia una favola preistorica. Ma è necessario anche non obbedire al terrore che i terroristi vogliono indurre, quello di farci ritenere più deboli di loro, col risultato di bloccarci, farci cambiare il modo di vivere, ritirarci magari dall’Afghanistan e simili accondiscendenze. Finiamola di bollare come razzista chi sospetta delle istituzioni islamiche magari pitturate color pastello. Deve far pensare come il kamikaze di Detroit sia uno studente islamico allievo di una scuola prestigiosa di Londra, non un rozzo clandestino. Questo fa capire come la violenza di ceppo musulmano non sia conseguenza di torti subiti, ma originaria, nascente dal cuore stesso di un Corano che, ahinoi, consente queste letture criminali. Distorte forse, ma non è una consolazione visto che proliferano.
Siamo comunque contenti che l’ingegnere nigeriano sia stato arrestato in America. Se l’avessero preso in Italia, anzi a Milano, dove un suo fratello di fede ha cercato di mandare al Creatore i nostri soldati della caserma Perrucchetti l’ottobre scorso (meno di tre mesi fa) saremmo qui ad ascoltare le ammonizioni dei nostri procuratori antiterrorismo, i quali fanno coincidere l’attivismo dei fanatici con la cattiva integrazione. Direbbero: «Non bisogna enfatizzare. È un caso isolato» (testuale, vedi le agenzie di lunedì 1° ottobre).
Viene voglia di essere amaramente sarcastici. Da noi - immaginiamo - dopo un severo interrogatorio in questura da parte del capo della Digos Bruno Megale e da parte del procuratore aggiunto Armando Spataro, arriverebbe la notizia che è stato convocato lo psicologo e si direbbe che è in cura da tempo: come giudicare uno che vuol distruggere il mondo se non che è pazzo e poco integrato? Del resto, sarebbe il terzo della serie, non c’è due senza tre. Prima Massimo Tartaglia contro Berlusconi in piazza Duomo; poi la Susanna Maiolo a San Pietro contro Benedetto XVI; infine Abdul Faruk Abdulmutallab sull’aereo della Delta contro (di fatto) Barack Obama. Tre psicolabili. In fondo tre svitati.
Massimo Tartaglia intanto - voglio dirlo - è detenuto ingiustamente a San Vittore. Infatti i magistrati non sanno come cavarsela. Gli attribuiscono un reato risibile (lesioni!) che non suppone certo custodia cautelare così protratta, ma si vergognano a lasciarlo libero dinanzi all’opinione pubblica. Ma individuare una fattispecie di reato buona per una lite al parcheggio con insulti a vigile urbano, è già un incentivo all’emulazione, come dimostra la faccenda di San Pietro, da parte di altri appartenenti alle Brigate matte, compagni che sbagliano ma pur sempre soldatini della gioiosa e un po’ psicolabile macchina da guerra. Ha ragione Berlusconi, ma chi lo ascolta tra le toghe?, quando perdona il reo ma domanda alla magistratura di non trattare come una bagattella l’aggressione, e invita a considerare gli eventi del 13 dicembre non un lancio innocuo di souvenir ma un attentato contro gli organi costituzionali (art. 289) come sin dal primo momento abbiamo sostenuto.
Certo, chi rischierebbe di più, se fosse stato catturato in Italia, sarebbe Abdul. Giusto e ovvio. Ma forse gli attribuirebbero anche un altro reato. Il millantato credito o magari la calunnia contro il povero Bin Laden. Infatti pare che il nigeriano abbia affermato di aver agito per conto di Al Qaida o comunque di essere legato a questa organizzazione. Ma in Italia noi non ci faremmo fregare, siamo più avanti. Armando Spataro in televisione ha fatto scuola affermando (da Lucia Annunziata, Rai3, 22 novembre) che «Al Qaida in quanto tale non esiste più da anni». In quanto tale. Affermazione in quasi perfetta sintonia con Indimedia (il sito degli antagonisti di sinistra) la quale ha citato con ammirazione un articolo della Pravda di Mosca del 19 agosto 2004: «La fondamentale verità è che Al Qaida non esiste e non è mai esistita. Al Qaida è un nemico fabbricato che è stato creato dall’amministrazione Bush per avere una scusa per fare una guerra per il controllo delle risorse petrolifere mondiali». Erano i giorni che anche in Italia Repubblica con Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo sosteneva le medesime tesi attaccando Cia e Sismi. Dunque, non è Al Qaida, e siamo dinanzi a un mitomane isolato. Secondo le tesi italiane, sarà stata la Cia con la collaborazione del Sismi, un autoattentato ordito da Obama, Berlusconi, D’Alema e Pollari.

Ma sì, divertiamoci un po’, che i tempi sono cupi ma anche folli, con questa strategia della tensione psicolabile.

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