Controcultura

"Meravigliosamente superflue: le città sono la nostra identità"

Lo studioso di urbanistica: «Con i loro edifici costruiti per estetica sono un patrimonio unico»

"Meravigliosamente superflue: le città sono la nostra identità"

Marco Romano, architetto e studioso di urbanistica, ha creato una disciplina nuova: Estetica della città, che ha insegnato alle Facoltà di Architettura di Venezia e Genova. Alle città - «il patrimonio più specifico dell'Occidente, un unicum senza riscontro in nessun'altra civiltà al mondo» - ha dedicato la vita di studioso, e di cittadino: «In Europa la città è il presidio della nostra identità personale. Noi siamo prima figli dei nostri genitori, ma subito dopo figli di una città. Io, ad esempio, pur con le mie radici familiari e la mia religione, sono milanese. Un altro napoletano, o veneziano. Un ebreo o un musulmano invece non saranno mai cittadini di una città: sono ebrei, o musulmani, e basta».

Vuole dire che...

«Voglio dire che la condizione che ci viene chiesta, da dieci secoli in qua, è il possesso di una casa, che non vuol dire per forza la proprietà, ma il fatto di abitarla. E nel momento in cui abbiamo una casa, diventiamo cittadini. A questo punto cosa facciamo tutti insieme noi cittadini? Mentre in Medio Oriente, o in Africa, ancora oggi, i villaggi non sono altro che semplici aggregati di case, in Europa fin dal Mille i cittadini innalzano una chiesa per dimostrare che tutti insieme sono capaci di costruire una cosa bella. In Italia, Spagna, Francia, ovunque, a partire dall'alto Medioevo, in tutti i villaggi si costruiscono una, due o più chiese, anche se non c'è alcun bisogno pratico. E poi lo stesso accade per i palazzi, i giardini, i monumenti... Cose belle, prima ancora che utili. Ecco la nostra civiltà».

Sono i luoghi collettivi nei quali la cittadinanza si riconosce.

«Tutte le nostre città sono l'esito di una riconoscibile intenzione estetica. Che si accumula nei secoli. Guardiamo le case di Milano: sono la somma della volontà di un proprietario di distinguersi e di un architetto di primeggiare. L'effetto, ancora oggi, se ti guardi davvero attorno, è una bellezza che ti stordisce».

Un museo a cielo aperto.

«Provi a camminare lungo via Dante a Milano: quando a fine '800 espropriarono i terreni, si indisse un concorso per la facciata più bella dei palazzi che si stavano costruendo sulla strada. Risultato? Un palazzo più bello dell'altro. E così per le case lungo via Roma a Torino, da piazza Castello a Porta Nuova. O per le architetture unificate di Rue de Rivoli a Parigi. O di Regent Street a Londra. Ma al di là delle strade monumentali, tutti gli elementi delle città europee sono pensati secondo una volontà estetica dei cittadini, da sempre».

E fino a quando?

«Lo stile moderno ha semplificato tutto, ma nelle case dei ricchi, nel centro delle città, fino agli anni '60 si riconosce ancora la mano dei bravi architetti. Mentre nei quartieri popolari, anche se gli edifici sono mediamente fatti abbastanza bene, ci sono solo edifici abitativi, niente monumenti, meno parchi: non si vedono cose belle nel loro essere superflue. E chi ci abita fa più fatica a riconoscere una identità, e una dignità, nella propria parte di città. Ed ecco il problema dei quartieri nuovi».

Le periferie.

«Ci faccia caso. I centri storici sono belli perché ci sono elementi architettonici e urbanistici gratuiti: archi della Pace, piazze, giardini, facciate decorate... Non servono, ma sono belli, appunto. Se si capisce questo, si capisce come trovare l'equilibro, dentro le città di oggi, tra conservazione e innovazione. Dove si perde la gratuità spuntano l'omologazione, l'appiattimento, e poi il degrado. Nelle città convergono esigenze estetiche ed etiche. È una questione anche politica».

E di democrazia.

«Le città sono la democrazia. Dopo le chiese, i cittadini costruiscono edifici e monumenti che rispondono a precise volontà. Prendiamo Siena, o Perugia, o Edimburgo. C'è un Palazzo comunale, perché gli uomini hanno bisogno di decidere gli affari e le guerre. E davanti c'è una fontana, perché le donne hanno bisogno di acqua per lavare i panni e preparare il cibo. Ecco la democrazia: si manifestano dei bisogni, e la collettività risponde al bisogno. Così per i desideri. A un certo punto, dal '500, le donne vogliono poter passeggiare per la città, per mostrare abiti e acconciature. Così da Siviglia a Lecce in tutta Europa si costruiscono le passeggiate. Ecco la democrazia. Ecco la nostra civiltà.

Le pare poco?».

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