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Merkel scaricata pure in patria: è lei la causa dell’eurodisastro

La stampa la attacca: "Grazie a lei la scelta è tra la bancarotta e la rovina" Ma il tedesco medio preferisce scagliarsi contro quei "fannulloni meridionali"

Merkel scaricata pure in patria: è lei la causa dell’eurodisastro

Uno spettro si aggira per l’Europa, è quello di Angela Merkel, la donna in grado di far affondare un intero continente. La novità è che ora contro il fantasma iniziano a sparare anche in Germania. «La cancelliera della rovina» titolava ieri il sito di Der Spiegel, il più diffuso settimanale del Paese. E ad affondare il colpo era Wolfgang Münchau, il più influente editorialista del giornalismo economico tedesco, fondatore del Financial Times Deutschland, e columnist del Ft londinese: «La possibilità di un’azione sostenibile per salvare l’euro non esiste più. E la colpa è della cancelliera. Il disastro ha un’ironia: proprio la cancelliera che aveva promesso alla Germania di limitare i danni, ha ottenuto, con la sua politica fatta di esitazioni e di no, tutto il contrario». Perché, prosegue Münchau con accenti da pessimismo cosmico, «la scelta è ora tra la bancarotta e la rovina». A forza di ritardare il salvataggio (un anno fa quando a soffrire era solo la Grecia sarebbe costato poco o nulla) i costi per tutti si sono fatti spaventosi. «Non è ancora chiaro se la Merkel passerà alla storia come la salvatrice o la becchina dell’euro. In tutti i casi ci porterà alla rovina».

I toni si potrebbero liquidare come un eccesso di angoscia tipicamente tedesco, se non fossero identici a quelli usati da un francese che con i vicini di oltre Reno ha poco o nulla in comune: «La Merkel sta combinando un gran casino. Per l’Europa la situazione si fa complicata. Ci sta facendo correre verso la catastrofe». Così si sarebbe sfogato Nicolas Sarkozy, secondo le rivelazioni del settimanale Canard Enchainé, dopo il vertice a tre di Strasburgo con Monti e la Merkel. Per trovare maggiore leggerezza (ma non di sostanza) bisogna rifugiarsi tra le pagine dell’Economist, che nell’ultimo numero ricorda un episodio raccontato dalla stessa Merkel: «Quando da piccola andavo a scuola di nuoto, avevo paura e rimanevo per tutta l’ora attaccata ai bordi della piscina. Solo quando sentivo la campanella di fine lezione mi lasciavo andare nell’acqua». Il commento del settimanale: cara cancelliera, «quando suona la campana potrebbe essere troppo tardi per buttarsi».

Il problema è che nei mesi passati, a forza di dichiarazioni stentoree, è stata la stessa Merkel a costruirsi la gabbia di ortodossia monetaria di cui ora appare prigioniera. I suoi due alleati di governo, Csu (la democrazia cristiana bavarese) e liberali, suonano più che mai la grancassa della durezza contro i Paesi debitori. E mentre l’establishment economico vive nell’incubo del crac della moneta unica, il tedesco medio è arrabbiatissimo contro quei fannulloni di meridionali che non pagano per quello che hanno consumato. E l’ostinazione della Merkel piace: se oggi ci fossero le elezioni batterebbe di 7 punti il suo probabile rivale socialdemocratico alla cancelleria, Peer Steinbruck. Così, all’apparenza, un suo cambio di strategia e la violazione di un tabù come il no agli eurobond potrebbe equivalere a una specie di suicidio politico. Per questo, secondo alcuni analisti, la scelta per la cancelliera è quella tra la sua sopravvivenza e il salvataggio dell’euro.

A offrirle significative munizioni anti-euro è ancora il nocciolo duro dei tradizionali interpreti della politica economica della Bundesbank. Ieri Otmar Issing, capo economista dei primi anni della Banca Centrale europea, ha chiuso la porta a ogni significativo intervento dell’istituto nella crisi: «Se la Bce si orienterà a diventare il compratore di ultima istanza dei bond europei, le conseguenze saranno difficilmente prevedibili. Ma una cosa è sicura: sarà una sfida terribile recuperare la sua credibilità».

Di tanto in tanto non manca anche qualche nota stonata nei nostri confronti. Il commento di Handelsblatt (il Sole 24 ore tedesco) di ieri aveva un titolo duro: «L’Italia, il più ricco mendicante del mondo».

L’invito a politici e opinione pubblica era quello di indignarsi «quando si vedono debitori sfrenati come l’Italia e la Grecia, che prima spendono a piene mani e alla fine chiedono l’aiuto straniero».

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