Cultura e Spettacoli

"Lotto contro la timidezza e la danza è la mia terapia"

Il ballerino chiuderà l'Expo con il «Gala des Etoiles» alla Scala: «La scena ti cambia e puoi lasciarti andare ma ogni spettacolo è una gran fatica. Io perfetto? Macché, però i miei difetti non li dico»

"Lotto contro la timidezza e la danza è la mia terapia"

Roberto Bolle è la danza italiana d'ultima generazione. Quarant'anni anni appena compiuti, di Casale Monferrato ma milanese d'adozione; «è a Milano che mi sento a casa»), è étoile del teatro alla Scala, principal dancer presso l'American ballet di New York, forgiatore di una compagnia che è ormai un inossidabile brand, il «Bolle & Friends». E ancor prima, è icona di energia e bellezza: quella che ha avuto in dote da madre natura, con le proporzioni d'una statua di Fidia, che coltiva con ore e ore alla sbarra. Perché Bolle è uno che con la disciplina non scherza affatto. Il fotografo Fabrizio Ferri gli ha appena dedicato un libro - Viaggio nella Bellezza - che lo ritrae nei luoghi più incantati d'Italia: fondali di un Bolle scultura viva.

Cosa è la bellezza?

«È molte cose. Bellezza estetica, dell'anima, dell'essenza delle cose. Un qualcosa di estremamente soggettivo capace di raggiungere le persone accendendo emozioni. Sa far vibrare il cuore, l'anima degli individui. In questo libro ci sono immagini che sono opere d'arte, ritraggono tante bellezze in contemporanea: dei monumenti eterni, carichi di storia del nostro glorioso passato, quelli di Pompei, Agrigento, Caracalla, Roma, Milano, Verona. A questa bellezza eterna si contrappone la bellezza del corpo della danza».

Era il suo sogno poter ballare a Pompei. E il 25 luglio vi porta i «Bolle & Friends». Perché ha insistito così tanto?

«Perché è un luogo simbolico, metafora della Bellezza italiana e della possibilità di una rinascita del Paese. Bisogna ripartire dalle bellezze ed eccellenze che hanno fatto e tuttora fanno grande il nostro Paese. Pompei è un luogo troppo a lungo abbandonato a se stesso, ora deve essere l'emblema di cosa vuol dire curare il proprio patrimonio».

Siamo a un passo dall'Expo, che lei chiuderà con il «Gala des Etoiles», alla Scala. Come si nutre il pianeta Bolle? Che rapporto ha col cibo?

«Buono direi. Mangio da atleta. Punto su un'alimentazione molto varia e attenta alla qualità. Il cibo è il carburante di questa macchina che poi in palcoscenico si muove, fa i salti... Ricerco cibi sani e digeribili, non troppo elaborati, alcune volte bio ma non necessariamente. Sicuramente non troppo grassi, evito fritture ad esempio, e mangio poca carne, semmai tanto pesce, verdure, uova... e parecchio riso, dopotutto sono piemontese».

E da piemontese si concede del Barolo o Barbaresco?

«Bevo vino solo con amici o in occasione di cene particolari, ma moderatamente. Diciamo che non rientra nella mia dieta».

Lei ha un fisico speciale. Si piace? O trova dei difetti?

«Altroché se trovo difetti».

Quali? Lei è ritenuto perfetto, misure auree da uomo vitruviano.

«Ma non ve li dico, neanche sotto tortura. Credo di essere piuttosto bravo a nasconderli».

Al di là dell'aspetto, una qualità e un difetto.

«La qualità è l'umiltà che mi ha permesso di rimanere me stesso nonostante il successo. Come difetti sicuramente il disordine e una certa testardaggine».

Quando di esibisce in pubblico pesa di più la fatica emotiva o fisica?

«Quella fisica. Il lato emotivo e artistico è quello che dà più gioia. Entrare nel ruolo, avere la consapevolezza del personaggio, vivere le sue emozioni è un qualcosa di speciale. Noi lavoriamo tante ore per arrivare proprio a quel momento e poter così godere delle emozioni trasmettendole, poi, al pubblico. La parte fisica e atletica è solo lo strumento per narrare un personaggio e una storia. Comunque sì. La stanchezza che pesa dopo uno spettacolo è quella fisica».

Lei è molto riservato. Ma come artista deve mettere a nudo la sua anima, questa cosa la imbarazza?

«Non quando sono in palcoscenico ed entro perfettamente nel personaggio. È più difficile durante le prove in sala, alla presenza dei colleghi, lì esternare emozioni e lasciarmi completamente andare non è poi così facile. In scena si entra in una dimensione diversa, la scena ti fa cambiare, lì ti lasci andare senza problemi. Ecco, questo è il bello dell'interpretazione. E devo dire che dopo anni di esperienza, ora sono riuscito a scavare nella profondità di me stesso tirando fuori sfaccettature prima silenti».

Per dire che il palcoscenico può essere anche maestro di vita...

«Assolutamente sì. Anzi, aggiungo: un maestro spesso molto duro e implacabile. Il palcoscenico mi ha fatto cambiare molto. Lì sono riuscito a guadagnare più fiducia in me, a tirare fuori le unghie, grinta e determinazione. Sai che devi essere sempre il migliore e devi dare il massimo. Il confronto costante con il palco non è facile, ma determinante per la crescita umana e professionale».

A proposito di battaglie con se stessi. Ha definitivamente sconfitto la timidezza?

«Niente affatto... Se sono al centro dell'attenzione, in un contesto che non sia la sala da ballo, la timidezza si fa sentire».

In conferenze stampa per esempio? Serate charity?

«Anche con gli amici, prendere la parola non mi viene naturale, devo forzare...».

Non ama la trasgressione, si dice. Cosa strana per un artista...

«Ma è così».

Qualche follia l'avrà pur fatta...

«La mia carriera limita follie e incoscienza. Fosse per la mia indole proverei tutto: deltaplano, paracadutismo, ecc. Vorrà dire che, contrariamente a quanto accade normalmente, questo genere di follie sarà l'adrenalina della mia vecchiaia».

Ha dichiarato che in futuro le piacerebbe avere una sua compagnia. Cosa la affascina di questo progetto?

«Il fatto che sia di lunga durata. E poi mi piace l'idea di far crescere i giovani facendoli lavorare su determinati ruoli in vista del livello più alto possibile. Inoltre c'è la sfida di nuove coreografie».

Sempre in tema di progetti futuri. Non si vede nei panni di coreografo?

«Alcune volte ci penso, ma non è una cosa che sento poi così mia. Non escludo di cimentarmi in qualche coreografia, ma ammetto che richiede un talento specifico. Avere una compagnia di giovani implica saper scovare talenti. Il talento lo si intuisce al volo, poiché folgora all'istante, o lo si scopre col tempo? Lo si intuisce subito. Un talento può essere più o meno nascosto, ma è innato e lo si vede immediatamente. Certo, bisogna sacrificarsi in nome di quel talento, crederci, altrimenti rimarrà inespresso».

Lei si allena ogni santo giorno, Pasqua e Natale compresi?

«A Pasqua mi sono riposato, ma a Pasquetta ero già in sala prove per gli spettacoli di “Gisele” alla Scala. D'estate, però, mi prendo tre settimane di stacco».

Lavora rigorosamente nei teatri o fa qualche esercizio anche a casa?

«A casa solo qualche esercizio di stretching. Per il resto, sala prove».

Com'è la sua giornata tipo?

«Nei giorni di spettacolo faccio circa due ore di allenamento al mattino, mangio, quindi mi riposo fino alle 18 quando torno in teatro per il riscaldamento, trucco e preparazione. Per il resto, dalle 10 mi alleno per un'ora e mezzo. Poi seguono fra le 4 e le 5 ore di prove».

La ballerina Alessandra Ferri si è rimessa in pista. Avete progetti assieme?

«Mi piace l'idea di tornare a ballare insieme. Ci stiamo pensando. Aspettiamo un bel titolo».

Per esempio?

«Non abbiamo ancora le idee chiare in tal senso. Vorremmo comunque una nuova creazione, qualcosa che non abbiamo interpretato».

Un giorno ha detto: «Quando sei ballerino, lo sei per sempre». Com'è il mondo visto con gli occhi di un ballerino?

«Posso dire come lo sento io. Vivo la vita con la consapevolezza di essere molto fortunato, so di vivere in un contesto e ambiente di grande bellezza e molto privilegiato, o meglio, privilegiato poiché è di grande bellezza. Faccio un lavoro che comporta grandi sacrifici, ma si fanno perché c'è il motore della passione e la consapevolezza di trascorrere ore accompagnato da bella musica al pianoforte, in teatri di grande storia e magia».

C'è uno sport che la colpisce per la gestualità?

«Sicuramente l'atletica. Mi piace moltissimo la ritmica, vedere le ginnaste. Hanno un'incredibile preparazione, anche loro sono quasi delle macchine. È interessante per un ballerino vedere fino a che punto riescono a spingersi questi atleti. Però mi dico sempre: “La mia fortuna è che la danza è arte”.

Noi danzatori regaliamo emozioni, non finisce tutto in un minuto di esecuzione, in una frazione di tempo in cui se sbagli un piccolo passo hai un punteggio inferiore».

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