Politica

«Mi dissocio da Zarqawi» Parla il giordano Asem Barqawi, guida spirituale del super-ricercato

«Non sono d’accordo sugli attentati kamikaze né sull’uccisione di civili innocenti o sull’attacco di chiese e moschee»

Younis Tawfik

Gli informatori affermano che l’organizzazione di «Qaidat al Jihad fi bilad al Rafidain» ovvero (Al Qaida della Jihad nella Mesopotamia), ha deciso di trasferire parte della sua attività terroristica al di fuori del territorio iracheno, per disorientare le operazioni antiguerriglia e alleggerire la pressione degli alleati in Irak.
Gli organi di sicurezza giordani sventano almeno un attentato di Al Qaida al mese, senza dichiararlo ufficialmente per motivi di sicurezza. Essi puntano il dito contro alcuni Paesi arabi confinanti con l’Irak, accusandoli di non fare molto per combattere il terrorismo.
In un’intervista pubblicata dal quotidiano arabo Al Hayat, domenica scorsa il giordano Asem Tahar Barqawi, conosciuto come Abu Muhammad al Maqdisi, maestro spirituale di Abu Mussab al Zarqawi, durante le 24 ore trascorse tra il suo rilascio e il suo nuovo arresto avvenuto ad Amman, in Giordania, disse a proposito delle divergenze tra il suo pensiero come teologo della Jihad e quello che caratterizza la maggior parte del pensiero salafita jihadista islamico di altri teologi e gruppi terroristici sparsi per il mondo: «L’accusa rivoltaci di essere un gruppo Takfiri integralista, di accusare gli altri di apostasia e di essere un gruppo terroristico, è opera degli organi d’informazione e dei governi per isolarci dalla gente e allontanarla da noi».
Tu sei stato accusato di istigazione alla violenza e di sostenere il terrorismo attraverso il pensiero del Takfir. Cosa rispondi a questa accusa?
«Quello che essi chiamano terrorismo, secondo la nostra fede è la Jihad, in risposta al volere dell’Altissimo. La Jihad è uno degli obblighi religiosi per noi, anche se i nemici della nostra fede cercano di snaturarla con queste definizioni approfittando degli errori di alcuni individui, che non rappresentano la vera condotta della Jihad islamica».
Qual è la verità sul tuo disaccordo con Al Zarqawi?
«Non sono d’accordo con lui sulle modalità degli attentati kamikaze né sulla loro legittimità. Gli ho scritto una lettera per dirgli che questi attentati sono un’eccezione e non una regola secondo il pensiero jihadista. Gli ho espresso il mio disaccordo sulla sua pratica di uccidere civili innocenti, sugli attacchi alle chiese e alle moschee sciite. Non ammetto l’assassinio di donne, bambini e vecchi».
Numerosi governi arabi e islamici di quest’area ti accusano di essere dietro tutto quello che succede nei loro Paesi a causa dei tuoi libri, che sono un punto di riferimento per tanti giovani. Riconosci questa responsabilità?
«Io non mi dissocio dai mujaheddin ma da alcuni loro comportamenti sbagliati, soprattutto da quegli errori e da quei comportamenti».
Ritieni che l’azione di Al Zarqawi possa avere qualche risultato? E qual è il futuro della Jihad?
«In base alla nostra esperienza in Afghanistan, in Cecenia e in Bosnia abbiamo riscontrato che la Jihad ha risvegliato molti giovani in quei Paesi. Anche se non ha realizzato tutti i suoi obbiettivi, ha permesso a una piccola parte di sconfiggere la più grande...
«Se la resistenza irachena, come abbiamo detto sopra, avrà la fortuna di fare scelte migliori, evitando gli errori che causano la morte di tanti iracheni, potrà certamente vincere la guerra contro l’occupazione, e avrà la benedizione del popolo iracheno. Il suo risveglio religioso coinvolgerà i giovani, e in seguito tutto il mondo arabo e islamico».
Che cosa pensi delle esecuzioni diffuse con i video?
«Sono state strumentalizzate dai nemici dell’Islam per allontanare la gente dalla Jihad e far apparire i mujaheddin come assassini che non fanno distinzioni tra civili e militari. Questo non è esatto... I mujaheddin hanno una loro interpretazione personale, che nasce da quello che vedono e dalla situazione in cui si trovano. Forse ci sfugge il fatto e che i mujaheddin vogliono incutere la paura nell’animo degli occupanti, infliggendo ai loro soldati una sconfitta psicologica e morale.
A quando risale il tuo ultimo incontro con Zarqawi?
«Fu quando uscimmo dal carcere nel 1999, prima che lui partisse per l’Afghanistan con molti altri nostri fratelli, che decisero di andare a vivere sotto il governo dei talebani con le loro famiglie. L’ho poi sentito al telefono più volte dall’Afghanistan e dal Pakistan. Mi trasmetteva i saluti di Osama Bin Laden. Una volta mi disse che aveva chiesto a Bin Laden di adottare i miei libri e le mie lettere come insegnamento per i membri di Al Qaida.

Ma lui rifiutò».

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