Cronaca locale

«Mi voleva Strehler» Micheli a quota 1000

Il testo di Simonetta compie ventotto anni

Matteo Failla

Inutile negarlo, sono pochi gli spettacoli teatrali che si fanno con lo stesso interprete da molti anni, in questo caso meglio dire decenni. Il pensiero potrebbe correre ad Arlecchino servitore di due padroni di Strehler, con Ferruccio Soleri, ma tra gli altri titoli spicca inevitabilmente Mi voleva Strehler di Umberto Simonetta e Maurizio Micheli, regia di Luca Sandri, che torna fino al 21 maggio al Teatro Franco Parenti. Sarà in questa occasione che Micheli festeggerà le mille repliche: non un semplice record, ma un vero esempio di teatro.
Cosa si può dire alla millesima replica?
«Che mi fa molto piacere aver raggiunto questo traguardo – risponde Maurizio Micheli -, perché il divertimento è identico a quello di 28 anni fa. L’impatto con il pubblico non è cambiato. È uno spettacolo nato per il pubblico, che parla di teatro ma racconta anche una vicenda umana, e lo spettatore si sente sempre partecipe».
Il testo mostra uno spaccato del teatro italiano a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Com’è invece il teatro oggi?
«La televisione oggi si è un po’ mangiata tutto, una volta le prime teatrali si vivevano come eventi della città, oggi invece esiste solo ciò che appare in tv, ed il teatro si è ridotto ad un club da condividere con gli amici, un luogo dove gli amatori si incontrano: è come un circolo dei francobolli. In Inghilterra e Francia una prima teatrale è ancora una prima, come si intendeva una volta, qui invece ci buttiamo un po’ su tutto: esce un nuovo telefonino e tutti siamo già pronti a comprarlo. Riceviamo un continuo bombardamento di immagini registrate, e se continuiamo così lo spettacolo dal vivo, per assurdo, potrebbe presto diventare una vera novità».
Simonetta diceva che «appena si apre il sipario lo spettatore deve decidere se concedere all’attore l’autorizzazione a farlo ridere». È ancora così?
«Dopo tanti anni credo che la gente mi abbia concesso l’autorizzazione a farla ridere, ma per molti anni è stato così. È vero che quando ancora non si conosceva lo spettacolo il pubblico “annusava” il comico e decideva se “dare l’autorizzazione”. Ora questo “annusamento” esiste meno, ma è un concetto ancora valido e vivo».
La risata è il miglior modo per approfondire la realtà?
«Nei casi in cui si può, credo che poter “leggere” la realtà con l’ironia sia un privilegio, e credo sarà sempre così. Certo non si può ridere di tutto. Io con l’autoironia alcune volte esagero, spingendomi verso l’autolesionismo».
C’è qualcosa del protagonista dello spettacolo in lei?
«Molto. Quando ci siamo messi a scrivere il testo, io e Simonetta abbiamo puntato ad esasperare alcune vicende realmente accadute, ma quello che si vede sul palco alla fine è la mia storia vissuta fino ai trent’anni».


Mi voleva Strehler è ancora teatro d’avanguardia?
«È stato uno spettacolo d’avanguardia quando i monologhi ancora non esistevano, è uno spettacolo che ironizza su cose che in questo Paese sono state prese troppo sul serio».

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