Cronache

«Con la mia musica vi farò vedere gli alieni»

«Con la mia musica vi farò vedere gli alieni»

L’Alien World Tour di Giovanni Allevi «atterrerà» stasera al Teatro Carlo Felice. Continua così la lunga tournée del pianista nei principali teatri italiani per poi proseguire nuovamente sui prestigiosi palchi di tutto il mondo.
Giovanni Allevi in concerto eseguirà, oltre ai suoi più grandi successi, i brani di «Alien», il suo ultimo album di inediti.
«Gli Alieni siamo noi - dice Allevi - che con la nostra sensibilità, cerchiamo lampi di poesia tra le pieghe dell’esistenza quotidiana. Rifiutando l’omologazione, affermiamo con delicatezza la nostra unicità, facendo della vita un’opera d’arte. È la musica che ci permette di guardare il mondo con occhi nuovi, tanto da riscoprire l’incanto in ciò che ci circonda, fino a sentirci alieni circondati da alieni».
Quale è stata la fonte d’ispirazione del tuo ultimo lavoro?
«Le composizioni del mio nuovo album sono nate nell’arco di diversi anni da idee ritmiche o melodiche che circolavano nella mia testa senza darmi pace. Avevo bisogno di dare una forma a questa musica che aleggiava in ogni momento della mia vita, dalla quotidiana routine dei pochi giorni a casa alla movimentata e alterata condizione emotiva vissuta durante le performance nelle lunghe tournée. Ogni frammento aveva però una sua identità precisa che mi ha richiesto di confrontarmi con la sua natura per poter essere strutturato nel tempo».
Da questo ha origine il tuo album?
«Sì, ne è derivato forse il mio disco più complesso, dove la ricerca musicale è tesa verso la dilatazione delle forme e l’esecuzione verte verso il raggiungimento di una purezza maniacale del suono. In particolare ho sentito il bisogno di usare la forma sonata, una forma musicale storicizzata ma assolutamente attuale, in grado di organizzare in maniera più estesa contenuti ritmici e melodici mutuati però dalla contemporaneità».
Il tuo cd e il tuo tour li hai chiamati «Alien»? Perché?
«Ho voluto chiamare “Alien” questo progetto musicale, nato lontano dalle richieste del mercato, lontano dalle esigenze discografiche, ma vicino a tutte quelle persone che vogliono vedere oltre la realtà che ci raccontano, oltre quell’universo sconsiderato e infelice che sembra crollarci addosso ad ogni istante. Solo con gli occhi della musica si riesce a svelare la realtà, a “vedere oltre”. E così “Alien” è un disco carico di energia, di appassionata vitalità, denso e impetuoso come è la vita che dobbiamo andarci a prendere, e che possiamo afferrare se solo riusciamo a spogliarci dei nostri pregiudizi e di quelli che gli altri ci impongono; se guardiamo all’essenza delle cose, se impariamo a riconoscere chi ci è intorno come qualcuno di speciale, se impariamo ad osservare il mondo che ci circonda senza dare nulla di scontato».
Dammi una definizione, una descrizione di Alien.
«Alien è un gesto d’amore nei confronti del reale, non la ricerca di un mondo parallelo, non la volontà di fuggire dalle difficoltà del presente, ma la convinzione che qui e ora è l’unico e il migliore dei mondi possibili e che gran parte di quello che viviamo nella nostra vita dipende da noi e dalle nostre scelte».
E come definiresti te stesso?
«Guarda, “Alien” mi rappresenta in questo momento più di ogni altro aggettivo, nel descrivere l’assoluta esigenza di voler rimanere uguale a me stesso. Paradossalmente, essere se stessi e volere con tutte le proprie forze continuare ad esserlo può sembrare un gesto “alieno” presupposti e pregiudizi, sovraccarico di definizioni e informazioni.

Per questo ho sentito l’esigenza di ribadire che, a volte, sentirsi inadeguato, deriso da una realtà performante e potente, può rappresentare un irrinunciabile desiderio di rimanere legati alla propria essenza: fragile, delicata, leggera ma coerente a sé stessa e per questo inattaccabile».

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