Cronache

Da Milano a Scicli: in Sicilia si torna per lavorare

Luca Iozzia, 39 anni, rinuncia a un contratto a tempo indeterminato a Milano per salvare una storia di famiglia e per dimostrare a se stesso e agli altri che in Sicilia si può essere "Fattore di" cambiamento

Da Milano a Scicli: in Sicilia si torna per lavorare

«Io non volevo essere fra il 95% dei siciliani che se ne vanno e non tornano. Sono legato alla mia storia territoriale e familiare. Ne ho visti tanti che sono andati via senza lasciare un segno nel luogo in cui si è cresciuti». Luca Iozzia, 39 anni, rinuncia a un contratto a tempo indeterminato a Milano per salvare una storia di famiglia e per dimostrare a se stesso e agli altri che in Sicilia si può tornare a lavorare.

A 18 anni si trasferisce a Milano per studiare Biologia. Mentre frequenta l’università inizia a fare la guida al Museo della scienza e della tecnologia di Milano. La tesi in biologia, nell’ambito divulgazione ed educazione, gli permette di essere coinvolto nella progettazione dei Laboratori del Museo. Diventa Responsabile dei Laboratori di genetica e biologia al Museo della scienza e della tecnologia di Milano. «Intanto, quando tornavo in Sicilia, a Scicli, guardavo la masseria di mio nonno, inattiva da 30 anni, e pensavo: o la vendo o ci provo. Ero a un bivio». Luca, allenato a applicare per vari progetti con il Museo, partecipa a un bando europeo per ottenere finanziamenti per lo sviluppo rurale. Il processo è complicato, non tutti potrebbero parteciparvi, anche se destinato all’attività rurale, la complessità delle richieste pretende una certa expertise. Luca vince. E cinque anni fa posa la prima pietra. Parte un iter lunghissimo di controlli. Iniziano i primi lavori e il progetto viene affidato a uno studio d’architettura. «Mi è cambiata la vita perché avevo deciso di iniziare un nuovo capitolo, ho vinto il bando e ho anche trovato chi avrebbe condiviso con me l’avventura. Arianna, l’architetto, ora è la mia ragazza». Mentre la ristrutturazione della masseria prosegue, Luca segue i progetti del Museo per Expo2015 e anche la mostra #FoodPeople. A ottobre 2015 consegna le dimissioni per riiniziare definitivamente.

L’agriturismo offre la ristorazione agli ospiti utilizzando i prodotti del territorio, come gli aromi di Scicli, i fagioli cosaruciari, il cioccolato di Modica. Luca si dichiara un fattore. Si diverte ad applicare ogni giorno di cosa si sente fattore. Si può essere fattore di cambiamento, di crescita. «Oggi che fattore sono?» si chiede divertito Luca. «Muovo un bell’indotto. Se uno comincia a creare, si crea un bene per tutti. I miei vicini ora lavorano insieme a me, il marito mi aiuta nei campi e la moglie tiene pulito l’agriturismo». C’è la signora, una professoressa di inglese in pensione, che fa i corsi di cucina nella sala delle colazioni che diventa un vero e proprio laboratorio di cucina. La cucina italiana, così, viene insegnata in lingua inglese agli ospiti provenienti da tutto il mondo, Australia, Danimarca, Olanda, Francia, Svezia.

Luca ne è certo: l’esperienza precedente al Museo gli ha permesso di acquisire competenze e stringere rapporti che hanno favorito questa sfida. «Tutto quello che faccio qui c’entra con il Museo perché voglio costruire una situazione che lasci il segno nella vita delle persone, come in un percorso di conoscenza, vorrei far vivere un’esperienza».

Le statistiche parlano chiaro: le campagne sono sempre più desolate e le città si gonfiano di nuovi utenti. «C’è stato un momento in cui mi sono spaventato. Invece mi sono accorto che avrei avuto ancora più mercato perché le persone hanno sempre più bisogno di natura e di campagna quando si vogliono riposare. Ora sono ospiti due medici di Amburgo. Conosco persone di grande cultura e io imparo tantissimo da chiunque».

Anche dal Libano. Luca lavorava ancora al Museo quando, parlando con una collega antropologa, le racconta che vicino alla masseria c’è un carrubeto enorme. Iozzia ne ha i terreni ricolmi ma non capisce come poter mettere a frutto quella ricchezza. «Nel dialogo con lei ho scoperto che gli arabi hanno portato le carrube in Sicilia. Ho fatto delle interviste a Pozzallo dove c’era uno stabilimento in cui si lavorava questa frutta secca per far fermentare l’alcool. All’avvento dell’alcool sintetico, l’economia della nostra zona è andata distrutta». Nel modicano ci sono aziende che fanno farina e sciroppo di carrube ma è troppo di nicchia. Si usa solo il seme di carrubo, la polpa viene data gli animali. Le carrube, che nascono da alberi di 300 anni d’età, crescono spontaneamente. Ma hanno perso mercato. Luca continua a cercare senza sosta finché l’antropologa gli riferisce che alcuni colleghi libanesi mangiano una crema di carruba per colazione. Su internet non si trova nulla perché è tutto scritto in lingua araba. «In occasione di un matrimonio di amici comuni, la mia collega mi ha presentato due amici libanesi che mi hanno trascritto la ricetta». Luca ha iniziato a produrre una crema di carruba da mangiare a colazione, che ha un gusto simile al cioccolato, ma meno dolce. «Non piace tanto agli italiani ma gli stranieri ne vanno pazzi. Anche questo ho imparato al Museo: non escludere un elemento che non piace in Italia.

C’è tutto il mondo a disposizione, affascinato dal nostro Bel Paese».

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