Cronaca locale

Adriana Asti in scena col marito Giorgio «Noi complici vampiri»

Debutta «Danza macabra» di Strindberg: «Un inferno coniugale che stregò Ronconi»

Simone Finotti

Tolstoj l'avrebbe detta più o meno così: tutti gli amori felici si somigliano, quelli infelici lo sono ciascuno a modo proprio. Ma tra il memorabile incipit di Anna Karenina (1877) e l'anziana, feroce coppia protagonista di Danza macabra di August Strindberg (1900), in scena all'Elfo dal 2 all'11 marzo con Adriana Asti e il marito (nella vita e sul palco) Giorgio Ferrara, c'è molto più di un quarto di secolo: c'è la crisi della fiducia nella scienza, la morte di Dio, il disvelamento dell'inconscio e delle sue paludi. Così l'infelicità di Alice e del Capitano, trascinatisi alla soglia delle nozze d'argento fra inferni d'odio e oceani di noia, diventa a suo modo esemplare: e finisce per assumere il colore cupo degli immobili mari nordici, che la regia di Luca Ronconi e la scenografia di Marco Rossi caricano di tonalità gotiche e vampiresche, a metà tra il Dracula di Stoker e il Valse triste di Sibelius, con qualche sprazzo di ironia noir. Solo l'arrivo del timido Kurt (Giovanni Crippa) sembra portare una ventata di novità. I due iniziano a «recitare», si contendono il giovane ospite come in una danza. Ma ben presto il gioco si spegne per lasciar posto a un desolato autunno, «fuori come dentro». E allora avanti, «andiamo oltre», in attesa della morte liberatrice. «Io e Giorgio, nella vita, siamo molto meglio -scherza la Asti- anche se certi momenti di acidità non mancano. Ma credo che valga per tutti, è un testo in cui tutti si possono riconoscere». Anche per questo incuriosì Ronconi, che tracciò una linea registica solida e potente, ispirata a una commedia breve di Courteline, Les Boulingrin, scritta nel 1898. «È il penultimo lavoro di Luca -ricorda Ferrara- e con Adriana siamo sempre molto attenti a rispettare le scelte registiche». I due si conobbero nel 1970, a New York, dove stavano mettendo in scena proprio uno spettacolo di Ronconi, l'Orlando Furioso. Lei di Milano, orgogliosa di esserlo. Lui «romanaccio» - a dirlo è la moglie -, famiglia legata a doppio filo con i vertici del vecchio Pci («ma ho scelto l'arte, e non ne sono pentito»). Lei attrice già affermata, lui aiuto regista di 14 anni più giovane: «Però quella sempre di buonumore sono io. Anche per questo il nostro rapporto va bene», confessa lei. Piacevole anche lavorare insieme, sorride Ferrara: «Il mio mestiere è la regia. Accetto di recitare solo a patto di fare la parte del marito o dell'amante di Adriana. Altrimenti no, sarebbe troppo noioso. È una grandissima attrice, un riferimento sul palco». Proprio l'opposto dell'Alice di Strindberg, strappata dal palco dal Capitano. Lei glielo rinfaccia, ma anche lui ha motivi di rancore. «Alla fine emerge un accordo profondo e la coppia continua a stare insieme anche quando lo spettacolo termina e il pubblico se ne va. Vince l'unione», riflette l'attrice. «È abitudine, certo, ma c'è qualcosa di più: avere qualcuno con cui condividere ricordi, pensare a un futuro, essere legati da tante piccole cose.

Il vero nemico è la solitudine».

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