Cronaca locale

Artisti pachistani: quell'«humor nero» che racconta i tabù

Mostra tra creatività e denuncia sociale Hashmi: «Le donne hanno molto da dire»

Francesca Amè

Dentro al Museo Diocesano Salima Hashmi, decana dell'arte pakistana, artista, curatrice tra le più influenti, figlia di un poeta pakistano e di una giornalista inglese, pluripremiata per il suo lavoro di divulgazione, infaticabile nei suoi 76 anni, si guarda in giro soddisfatta: siamo al piano terra dove da oggi e fino al 28 novembre è ospitata la prima mostra collettiva di arte contemporanea pakistana mai realizzata in Italia (ne sarebbe contento il cardinal Martini, cui il museo è dedicato).

«Art for Education» presenta una sessantina di lavori di diversi artisti pakistani, alcuni già affermati altri emergenti, per sostenere Italian Friends of The Citizens Foundation, costola italiana della ong impegnata nel Paese asiatico a promuovere la scolarizzazione delle zone più arretrate, con particolare attenzione all'istruzione femminile. «Sono consapevole che le notizie che di solito vi giungono dal mio Paese sono drammatiche. In Pakistan è ancora forte l'eco per quanto fatto dal governo italiano: ha stabilito un senso di giustizia», dice Hashmi, riferendosi alla terribile vicenda di Sana Cheema, la 25enne italo-pachistana, cresciuta a Brescia, scomparsa durante un viaggio nel Paese di origine dei genitori e poi, solo dopo la mobilitazione in Italia per fare chiarezza sulla morte, risultata uccisa dai familiari perché non accettava un matrimonio combinato. «Può sembrare cinico dirlo, ma da noi più le cose peggiorano, migliore diventa l'arte: è un momento particolarmente vivace. Gli artisti, specie le donne, hanno molto da dire: avvertono la loro responsabilità sociale», continua Hashmi che ha curato la mostra al Diocesano insieme a Rosa Maria Falvo.

Il risultato, per noi che poco o nulla sappiamo della produzione culturale di questo Paese così lontano, emerge dai lavori ora esposti ed è davvero sorprendente: «Il dark humor, lo humor nero, è una delle caratteristiche della nostra creatività», commenta sorniona Salima Hashmi. Lo troviamo nel lavoro di Rashid Rana, uno degli artisti più noti, che prende Il giuramento degli Orazi di David e lo decompone, disorientandoci, o nelle immagini distopiche di Faiza Butt che irridono il tradizionalismo del suo Paese. Ci sono poi i raffinati lavori di Imran Quresgi e le installazioni dorate di Adeela Suleman. Non c'è timore di mettere a nudo corpi né pensieri: l'arte pakistana è libera e parla di temi tabù (il rapporto conflittuale con l'India, ingombrante vicino di casa, quello tra uomo e donna, i versetti del Corano), guarda al resto del mondo ma non dimentica le proprie origini. La miniatura, l'arte tessile, l'artigianato, la calligrafia sono il substrato su cui molti degli artisti hanno costruito il loro universo visivo contemporaneo. Ci sono firme Butt, Qureshi, Rana, Suleman già esposte in gallerie occidentali («anche se non sono così convinta che trattare gli artisti come i cavalli di una scuderia sia il modo corretto», chiosa Hashmi) e altri che, per mantenersi, insegnano a scuola.

Tutti vivono in Pakistan, tutti credono che l'educazione sia il primo passo per un vero cambiamento.

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