Cronaca locale

Il beato Teresio Olivelli e quella Resistenza che non è arma politica

Il partigiano ucciso in un campo di prigionia è il simbolo di tanti non schierati a sinistra

Il beato Teresio Olivelli e quella Resistenza  che non è arma politica

C'è una Resistenza che viene brandita come un'arma nello scontro ideologico (con effetto spesso respingente) e venduta come un prodotto nel marketing politico di oggi. Ma c'è anche una Resistenza custodita come un'eredità preziosa, tramandata senza fanfare e faziosità, con la cura certosina dello studio e con amore per la ricerca storica: una Resistenza senza colori politici, quella di tanti cattolici, monarchici, liberal-socialisti, quella dei partigiani senza colori e senza affiliazioni.

È alla memoria di questa Resistenza che sono devote le Fiamme verdi e la Federazione Volontari per la libertà, che domani a Brescia organizzano con l'Università Cattolica - e con il patrocinio delle istituzioni - una giornata di studi in onore di «Teresio Olivelli, ribelle per amore», come recita il titolo dell'evento.

Partigiano delle Fiamme verdi, fondatore del giornale clandestino «Il ribelle», martire cristiano ucciso «in odium fidei» in un campo di concentramento, quella di Olivelli è una delle figure più luminose della Resistenza. Il suo è stato anche un percorso di cambiamento. Olivelli nasce nel 1916 a Bellagio (Como) dopo la laurea a Pavia si trasferisce a Torino come assistente universitario. È con i Littorali della cultura di Trieste che, nel 1939, prende parte alle attività del regime. Nel febbraio '41 si arruola come volontario, quindi inizia quella lunga esperienza della guerra che metterà profondamente in crisi le sue idee. Al suo ritorno, diventa rettore del prestigioso collegio universitario Ghislieri di Pavia fino all'8 settembre del 1943, quando viene catturato a Vipiteno e internato in Germania.

Fugge e arriva a Udine e poi a Brescia, dove diventa il più importante e influente personaggio della Resistenza cittadina. Il 27 aprile 1944 viene arrestato a Milano, portato a San Vittore e poi nel campo di Fossoli (Modena), sotto il controllo delle S.S. Viene poi spedito a Bolzano, a Flossemburg e infine a Hersbruck. Sono queste le ultime tappe di una via crucis che termina il 12 gennaio 1945, quando muore in seguito alle percosse di un sorvegliante polacco che l'aveva sorpreso ad assistere un «collega» ammalato. Prima di morire dona i suoi stracci a un compagno che ne ha bisogno.

Olivelli è il primo partigiano che è stato proclamato beato (a febbraio a Vigevano). Ma questo convegno è dedicato alla figura civile, non (solo) religiosa: «Non abbiamo voluto rinforzare la sua dimensione spirituale - spiega il professor Roberto Tagliani, delle Fiamme verdi di Brescia - non vogliamo proporre il culto del santo ma mostrare come questa straordinaria figura cristiana abbia forte rilevanza anche nel pensiero, nella storia e nel mondo della resistenza. La Chiesa lo ha beatificato a febbraio, per noi è una figura eroica oltre che un martire, dal momento in cui si è conosciuto il destino tragico che ha portato alla sua morte».

Quella di Olivelli è una figura centrale nel movimento partigiano che si potrebbe definire «bianco», o meglio ancora cristianamente orientato. Ma non solo: «Erano partigiani che non avevano una struttura di partito unica - spiega Tagliani - non erano militanti di un partito ma di un'idea. Nel mondo dei partigiani non c'erano solo le dinamiche del Cln, con i partiti, ma anche un'autonomia di pensiero forte. C'erano cattolici, lavoratori, preti e suore, ma anche comunisti che non stavano nelle Brigate Garibaldi, monarchici, socialisti. Nelle redazione del Ribelle c'erano queste diverse sensibilità. Come nelle Fiamme verdi». E ci sono ancora. Le Fiamme verdi fanno parte di quel mondo che nel '48 smise di aderire all'Anpi per rivendicare autonomia rispetto ai «fronti» politicamente contrapposti.

E l'articolo 1 dello Statuto delle Fiamme verdi stabilisce che i primi iscritti sono i caduti per la libertà. «Questo significa non fare proselitismo ma memoria e testimonianza».

E più benvenuti dei politici, domani, saranno gli studenti.

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