Cronaca locale

«Bel lavoro a Rogoredo Adesso più attenzione a Centrale e via Padova»

Il questore fa un bilancio dei primi 9 mesi «Droga e 'ndrangheta, ma anche gli scippi»

Paola Fucilieri

«Sa cosa mi ha colpito di Milano? Che a prescindere dall'appartenenza politica, se c'è in ballo il benessere della città si va avanti. Questa è una delle poche metropoli che con il tempo è migliorata. E continua a migliorare. Le amministrazioni che si sono succedute hanno avuto una visione: molti anni fa hanno immaginato una città e la stanno realizzando. E la sicurezza è un aspetto importante, che incide sui limiti dello sviluppo: attira le persone».

Perché allora se il questore dichiara che i furti in appartamento nel 2019 sono calati del 18 per cento rispetto all'anno precedente, la gente fa una smorfia incredula?

«I reati a Milano sono in calo dal 2014. Ma per una serie di ragioni che spesso non dipendono dalle forze dell'ordine, non necessariamente un luogo sicuro è avvertito come tale. La gente si sente insicura perché attraversa una zona degradata e incontra persone che la intimoriscono dato che la crisi economica ha portato tanta gente in mezzo alla strada. O perché legge sui giornali che accade di tutto...».

Il 26 dicembre il questore Sergio Bracco ha tagliato il traguardo dei nove mesi ai vertici della polizia milanese in via Fatebenefratelli. Silenzioso, gentile, molto laborioso e con una particolare idiosincrasia per le luci della ribalta, in questi 270 giorni non ha mai fatto esternazioni e tanto meno bilanci. Ora, a fine anno, anche se sostiene di «subire» le interviste, ha deciso di fare qualche eccezione. «Poi però chiudo» precisa. E allora cogliamo l'occasione al volo.

Le colpe dei giornalisti?

«Il mio obiettivo non è solo il calo dei reati, ma anche che la gente si senta più sicura. La stampa dà spazio alle notizie negative, com'è normale che sia. A quel punto però, io lettore mi faccio l'idea che la città sia insicura. Ci tengo che i nostri risultati positivi siano visibili proprio perché rinfrancano i cittadini, contribuiscono a farli sentire meglio».

Ad esempio con i servizi straordinari. Mentre i carabinieri si occupano dei Navigli e la Guardia di Finanza dell'Arco della Pace, la polizia è concentrata nella zona nevralgica di via Padova...

«Sì, siamo impegnati contro i reati in genere, ma soprattutto contro lo spaccio e le attività commerciali abusive o comunque non in regola, come certi bar, centri massaggi, sale slot. Facciamo due interventi straordinari al giorno in via Padova e vogliamo continuare in questa direzione. I residenti ci esprimono il loro apprezzamento. Credo che la gente desideri anche visibilità, che voglia vedere gente in divisa».

A Bologna ha diretto per quattro anni le «Volanti» e non crede nei blitz. Lo dimostra l'attività della questura davanti alla stazione Centrale: silente ma efficace visto che i reati, insieme ai furti di bagagli all'interno dello scalo ferroviario, sono in calo.

«Se non dedicassimo una particolare attenzione per migliorare la situazione nella zona della stazione Centrale, rischieremmo di perdere il controllo di quello che è il biglietto da visita della città. Tutte le stazioni ferroviarie dei grandi centri sono problematiche, ma è importante che le condizioni non degenerino. Io non credo nelle operazione mediatiche. Piombando con cento uomini per un intero pomeriggio davanti alla Centrale, otteniamo un risultato effimero e dopo poche ore tutto torna come prima. Se siamo lì costantemente le presenze che creano il degrado invece si disperdono. Qualcuno si è lamentato che queste persone si siano spostate nell'area di via Benedetto Marcello, ma ci stiamo lavorando».

Che cosa la preoccupa veramente di Milano?

«Siamo molto concentrati nella lotta alla droga e alla criminalità organizzata, la 'ndrangheta in particolare. Poi ovviamente ci battiamo contro i reati che più infastidiscono la gente, quelli predatori, come furti, borseggi e rapine. Il nostro lavoro ha senso solo se ci rendiamo utili ai cittadini».

E allora torniamo ai famigerati furti in appartamento.

«Sono state catturate bande esperte di albanesi e georgiani. Che arrivano in città, magari facendo base a casa di amici (negli alberghi sarebbero rintracciabili), restano qui per un po' e poi se ne vanno. Sono professionisti che non si spaventano dei sistemi di sicurezza passivi. E poi studiano i colpi, fanno lunghi sopralluoghi e hanno informatori».

Come si combatte la criminalità organizzata?

«Denaro chiama denaro. Qui al nord la 'ndrangheta ha esteso la sua attività negli appalti, nei rifiuti, nelle scommesse e così condiziona anche gli apparati pubblici, basti pensare ai piccoli comuni. Aumentare sempre più i sequestri patrimoniali, togliere i beni ai malavitosi in maniera sistematica e decisa, accorcia il respiro di queste attività illecite».

P

er la lotta alla droga invece non c'è ricetta.

«No, perché è un fenomeno sociale. Purtroppo tutti i nuovi metodi di utilizzo - soprattutto dell'eroina e da parte di troppi giovani - ci obbligheranno a pagare prezzi altissimi in un futuro immediato. Tuttavia se non lottassimo con ogni mezzo per contrastare lo spaccio (e le cautele adottate dai pusher testimoniano il nostro impegno, indicano che rendiamo loro la vita difficile) la droga si venderebbe sui banchetti, per strada».

Un risultato importante?

«Lo ha ottenuto il prefetto Renato Saccone a Rogoredo. Noi, come le altre forze dell'ordine, siamo lì con alcune pattuglie, ma ogni giorno.

Sa quanto vale salvare una vita facendo sì che un tossicodipendente smetta e decida di farsi curare? Molto, ma molto di più di uno spacciatore preso e portato in carcere».

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