Cronaca locale

Biologici o a «km zero» Tutte le bufale dei ristoranti naturali

A Milano solo quattro i locali certificati Ma i controlli non sono obbligatori...

Mimmo Di Marzio

Si fa presto a dire «bio». Tra le mode dilagate nelle nostre città in questi ultimi anni, c'è anche quella dei cibi cosiddetti naturali, tendenza spinta dalle ricerche di medici e nutrizionisti, ma anche dalla diffusione delle intolleranze alimentari, vere o presunte. A Milano stiamo assistendo a un vero e proprio boom nella distribuzione di cibi biologici, come pure di bistrot e ristoranti che ostentano menù «naturali» e a chilometro zero. Un aumento di quasi il 70 per cento in cinque anni. Ma è tutto oro quello che luccica? La risposta è no, e la disinformazione che esiste sul sistema alimentare biologico alimenta gli equivoci e... le bufale. Per capirlo vale la pena ribadire che un prodotto può definirsi bio soltanto se l'intera filiera, dal seme al piatto, è certificata da uno degli enti ufficiali italiani o europei. Il principale di questi è l'ICEA, Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, nato nel 2004 e specializzato sia nel settore del Food che della bioedilizia. Guardando la tabella degli esercizi di ristorazione milanesi qualificati da ICEA come «bio» scopriamo che, a fronte del boom di cui sopra, sono soltanto quattro le realtà che si sono aggiudicate la certificazione. Sono i due ristoranti «Radicetonda» fondati nel 2012 da Lorenzo Cannavale, Guido Fornaro e Guido Giansoldati; il ristorante di NaturaSì di via De Amicis appartenente alla catena di distribuzione che a Milano conta 20 punti vendita; il ristorante Bioesserì di via Fatebenefratelli; infine tutti i punti ristoro dei grandi magazzini IKEA.

Icea qualifica i ristoranti con il «pomodorino», da uno a cinque, a seconda della percentuale di alimenti bio negli ingredienti e nel menù; vale a dire ingredienti certificati in tutti i passaggi, a cominciare dalle tecniche di coltivazione da cui è totalmente bandita la chimica. «Il vero problema - dice Guido Fornaro di Radicetonda, ristorante vegano certificato con cinque pomodorini (il massimo) - è che i locali non hanno alcun obbligo a sottoporsi ai controlli e i sistemi di certificazione in Italia sono volontari e a pagamento. Una tassa a cui ci sottoponiamo volentieri ma che ci penalizza rispetto ai tanti ristoranti che si contrabbandano come biologici ma senza averne diritto». E, secondo le norme stabilite da Icea, un ristorante si può definire biologico a tutti gli effetti se almeno il 95 per cento degli ingredienti dei suoi piatti è bio.

Un altro problema riguarda i costi perchè i prodotti e i piatti biologici, se lo sono veramente, costano di più. La ragione sta nel tipo di coltivazione non intensivo, nell'esigenza maggiore di mano d'opera e nel maggiore scarto del prodotto. «I nostri menù sono assolutamente democratici - dice Fornaro - ma a prezzo di un grande sacrificio in nome della qualità degli ingredienti, senza contare i costi delle certificazioni.

In cambio, però, chiediamo che finalmente a Milano sia fatta trasparenza».

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