Cronaca locale

«Che fatica fare impresa Io sogno di cucinare i risotti e le costolette»

Lo chef stellato racconta l'amore per Milano E per i Navigli della «trattoria» Chic'n Quick

Maurizio Bertera

Buon compleanno a Claudio Sadler: 60 anni ben portati, 30 di cucina seria. Sempre a Milano, zona Navigli. Ha iniziato sulla Ripa di Porta Ticinese all'Osteria di Porta Cicca, nel 1986: erano i tempi del mito Marchesi in via Bonvesin della Riva e dei Santin all'Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano. Cinque anni dopo la prima stella Michelin per una cucina «moderna in evoluzione», studiata a lungo e disegnata con i pastelli, ieri come oggi prima di testarla ai fornelli. Nel 1995, il trasloco in via Trailo dove nel 2002 arriva la seconda stella Michelin. Terzo trasloco, sul Naviglio Pavese, nel 2007: a fianco del ristorante per gourmet c'è un secondo locale, Chic n Quick-Trattoria Moderna. Uno dei migliori bistrot italiani, anche se a Sadler il termine non piace troppo. «L'ho chiamata così perché vuole sottolineare le caratteristiche della cucina, italiana, e il salto di qualità del menu rispetto all'osteria tradizionale».

Tanti auguri, Sadler. A vederla in azione, è arrivato bene alla ricorrenza.

«Mi sento in forma e soprattutto come ristoratore ho superato la crisi. In questi tre anni, si è rivista la luce. Cerco sempre di fare il massimo per il cliente, sia quello che mangia un piatto al Chic'n Quick sia quello che si siede al due stelle per una cena importante».

Quindi il peggio è passato.

«Direi di sì, dal 2010 al 2013 non ho mai vissuto un periodo così devastante. Forse perché nei sette anni precedenti mi sono divertito un sacco. Ai tempi della Milano da bere, avevo appena aperto. Invece all'inizio degli Anni 2000, ero già affermato: ho preso la doppia stella, ho aperto a Tokyo, ho messo a punto tante idee. Bello, forse irripetibile».

Molti dicono che lei sia fissato con i Navigli.

«Quando ho inaugurato il primo locale, erano quelli del mio cuore, di grande fascino e bohemien. Per l'ultimo trasloco avevo bisogno di un grande spazio, senza svenarmi e l'ho trovato in via Sforza. Ogni tanto penso che sarebbe interessante avere qualcosa in centro per catturare quel mercato fashionista che non viene qui solo per la posizione, a differenza dei gourmet. Poi subentrano timore e abitudine a stare».

Come è cambiata la Milano a tavola?

«Sicuramente si mangia meno e soprattutto si beve meno. Più attenzione alla salute ma anche meno soldi in tasca. Raro vedere una coppia che va oltre una bottiglia. E poi tanti stranieri, in un ristorante come il mio il 60%. Per fortuna».

Sì, ma mediamente si mangia meglio di una volta?

«A leggere le guide, senza dubbio. Quando ho preso la prima stella Michelin, nel 1991, c'erano quattro-cinque locali per gourmet. Oggi siamo vicini a una ventina con cuochi famosi e riconoscimenti. Più che l'effetto di una reale domanda è un'offerta in crescita che vuole spingerla. Ma non basta aprire continuamente locali, ci vuole una città che crei tante occasioni».

Lo suggerisca al sindaco.

«Sala è un mio cliente, l'avrei votato ma risiedo a Sesto San Giovanni. Fossi in lui, non farei altro che sfruttare molto di più il polo fieristico: se la Fiera lavora bene, noi lavoriamo bene. Per il resto, penso che Milano sia amministrata decisamente meglio di gran parte delle città italiane».

A proposito di politici, nel luglio 2012 lei è finito nelle cronache come il custode della cantina di Piero Daccò. Non è stato simpatico0.

«Successe in quel periodo sfigato di cui parlavo. Ma visto che non avevo alcuna responsabilità, ricordo solo due rotture concrete: fare l'inventario, in un caldo bestiale, delle centinaia di bottiglie sequestrate e sottopormi a tre ore e mezza di interrogatorio. Sono stato citato su quasi 60 testate, mi divertiva che sottolineavano il valore complessivo di 300mila euro per la cantina, come fosse lo scandalo maggiore, quando era una goccia nell'ammanco contestato dai giudici».

Un suo collega dice che lei è un contemporaneo nella cucina e all'avanguardia nelle idee. Si ritrova?

«Ho le mie radici e le mie convinzioni ma è vero che sono molto attento a quanto succede, cerco di anticiparlo quando riesco. Forse per questo, mi capita di rifare ultimamente le ricette di vent'anni fa: scopro che sono ancora valide e piacciono molto. Un esempio è la costoletta di agnello farcita di foie gras, in crosta di mandorle. Peraltro ho sempre inseguito il gusto pieno, in una cucina creativa ma non basata sullo stupore o eccessiva cromia».

Un nome di collega che apprezza particolarmente?

«Bottura. Mi piacciono la sua cucina e la sua filosofia. E poi ha un senso per l'arte».

Lei è stato professore di Davide Oldani.

«Nei primissimi anni quando insegnavo all'alberghiero Carlo Porta. Era bravo, soprattutto o intraprendente: si capiva che avrebbe fatto cose importanti, fuori dagli schemi».

Se l'aspettava un boom di iscrizioni all'alberghiero?

«Frutto delle ultime stagioni, con i programmi tivù a fare da traino. Il problema è che non ci sono budget per i laboratori, ossia la cosa più importante».

Lei adora fare scuola perché parla con la gente.

«Un bel mondo la scuola: tiene allenata la mente perché prima di insegnare a dilettanti o professionisti devi imparare».

Cuoco-imprenditore, pioniere dell'abbinamento birra-alta cucina e del banqueting, progettista di panini per una famosa catena, scrittore affermato...

«Quando mi propongono cose semplici che capisco subito e mi piacciono, parto e non mi preoccupo se la cosa ha un iter molto lungo. Tutto qui».

Sadler, si può dire che la sua seconda vita di chef eclettico e sempre in cerca di nuove idee stia iniziando a 60 anni?

«Veda lei. Se significa aver capito che cucinare è la cosa più bella ma non basta più, diciamo che ho iniziato la seconda vita. Ma essere il direttore dell'intero meccanismo è una rottura bestiale: se potessi scegliere davvero, tornerei subito a fare il cuoco.

Soprattutto di risotti e costolette».

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