Cronaca locale

Contro oscurantismo e ambiguità servono coraggio e gesti di rottura

di Alberto Giannoni

Servono gesti forti. Le ombre minacciose che si allungano anche sulle nostre città richiedono segnali di rottura profondi e simbolici. Il momento lo impone a tutti, partiti e persone.

Il caso dei rapporti fra la sinistra e l'islam politico si è riaperto in questi giorni con l'iniziativa di cui sono stati protagonisti a Palazzo Marino Matteo Forte e Maryan Ismail. E, questo caso, è destinato a restare aperto finché qualcuno non metterà al bando le persistenti cautele e le troppe ambiguità. Potrebbero ancora farlo, forse, i vertici milanesi del Pd, incalzati ancora oggi da Forte e dalla ex dirigente democratica Ismail.

La sostanziale estromissione di Daniele Nahum e i pasticci combinati in Comune sul caso delle moschee milanesi fanno pensare che il primo partito della maggioranza anche su questo terreno abbia perso la carica innovativa in cui molti speravano, anche se il segretario milanese Pietro Bussolati avrebbe personalmente le carte in regola per giocare questa partita, come dimostra la scelta coraggiosa di schierare il suo partito a difesa della Brigata ebraica nella sfilata del 25 aprile (l'atteggiamento ostile verso Israele resta infatti uno dei tratti distintivi dell'islam politico ortodosso, al pari della questione femminile e delle posizioni sui fatti di politica internazionale). Ma anche Sumaya Abdel Qader ha nelle sue mani una responsabilità e una grande opportunità.

Dal giorno in cui ha scelto un impegno politico a tutto tondo, la (ormai ex) dirigente musulmana è sotto i riflettori. Sono stati raccontati i problemi politici emersi nel Pd con la sua candidatura e poi elezione in Comune. Ma si è dato conto anche delle polemiche, e delle contraddizioni, legate al mondo associativo musulmano di cui Sumaya è stata espressione.

I diritti delle donne, la laicità,

i rapporti con la Comunità ebraica milanese, il diritto all'esistenza di Israele, certi cattivi predicatori. I problemi che si sono manifestati sono questi: per niente personali, tutti politici. Nella gestione della sua immagine pubblica, Sumaya Abdel Qader si è dimostrata più accorta di altri dirigenti musulmani milanesi. E quando le è parso necessario, da questi ha saputo prendere le distanze, come sul caso Erdogan-Turchia.

Ma non è più il tempo della cautela o della ambiguità: servono coraggio, parole chiare e gesti simbolici forti contro l'antisemitismo, l'oscurantismo e l'intolleranza.

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