Cronaca locale

Una «cordata» per salvare il Centro di aiuto alla vita

Difficoltà finanziarie e paletti burocratici, i volontari anti aborto lanciano l'sos: «Ogni giorno tante donne da aiutare». Si muovono imprenditori, amici e politici

Una «cordata» per salvare il Centro di aiuto alla vita

Una «cordata» di imprenditori e professionisti. Un gruppo di amici del Centro di aiuto alla vita, in campo per sostenerlo. L'idea è partita ma si deve far presto. Ogni giorno «nasce una mamma» per Paola Bonzi. E ogni giorno aumentano le donne che si rivolgono al suo centro perché hanno deciso di non interrompere la loro gravidanza (a volte all'ultimo momento, prima di abortire). Per questo ogni 24 ore servono 5mila euro. Non per finanziare apparati e strutture, ma per l'attività del centro. Quella che da 29 anni sostiene mamme e bambini. Prima del parto per sei mesi; dopo per altri 12 mesi. Sono 2.720 attualmente le donne assistite. «Non facciamo ideologia o politica. È tutto molto semplice - spiega Bonzi, fondatrice e direttrice del centro alla Mangiagalli - la burocrazia a volte sembra folle, complica le cose. Il nostro progetto sono le pance di quelle donne. Qui si tratta solo di non sopprimere una vita».

Tutto questo enorme, silenzioso lavoro rischia di doversi fermare. Di perdersi. Per ragioni economiche. E per complicazioni burocratiche. «Fino a pochi anni fa - spiega Paola - la donna entrava nel nostro centro e ne usciva con un foglio con cui andare in banca a ritirare un aiuto. Oggi ci vogliono undici documenti. E il tutto funziona per “bacini di utenza” che corrispondo alle Asl. Noi alla Mangiagalli possiamo intervenire solo per Milano centro. Dobbiamo indirizzare le altre donne verso i consultori territoriali. C'è una persona addetta solo a seguire queste pratiche». Ma il vero problema è finanziario. Il fondo Nasko va direttamente alle donne. Lo stanziamento complessivo è inalterato, anche se il sussidio si è ridotto (100 euro per sei mesi, 200 euro per 12 mesi). L'intenzione era aiutare più donne ma a volte la matematica non è una certezza.

«I casi sono tutti diversi, sarebbe necessaria una maggiore flessibilità». Il centro dà a tutte le donne pannolini (circa 170mila euro di spesa in un anno), un corredino e l'attrezzatura (passeggini o seggiolini). Nei casi più difficili però 100 euro non bastano e si deve integrare con altro denaro. O con l'accoglienza. Le donne che chiedono aiuto, complice la crisi, sono sempre di più. Il 30% in più in questo momento. E mentre il bisogno aumenta, i fondi calano. «Abbiamo un buco di 300mila euro. Sono amareggiata, non so più cosa inventare - confessa Paola - ma io non mollo. Mi appena telefonato una ex insegnante dalla Calabria, ci darà 30mila euro dei suoi risparmi». Un gesto enorme ma resta una goccia nel mare. Il centro ha un bilancio di un milione e mezzo. Circa 475mila arrivano dall'Asl. Per andare avanti con l'attività serve un altro milione all'anno.

«Com'è possibile che gli enti pubblici non possano stanziare una cifra del genere? Se penso a certe spese...» si rammarica Paola Bonzi, che intanto racconta - ogni giorno - una storia sul suo blog (paolabonzi.it). Ed ecco che si sta muovendo un gruppo di imprenditori, professionisti e amici. Coordinati da Nicolò Mardegan, che è anche consigliere provinciale. Un primo gruppo di aderenti si è riunito, si sono registrate 4-5 adesioni ma il progetto deve svilupparsi. «Stiamo pensando a iniziative, appelli e a coinvolgere più persone possibile - spiega Mardegan - per arrivare là dove la politica non arriva. Crediamo che questa città saprà spendersi. Anche perché una società che invecchia, che non difende la vita, è più povera in ogni senso». «Una cosa magnifica - commenta Paola - loro hanno capito davvero, grazie a Dio ci sono amici così. Ma il mio problema è anche l'oggi.

È cosa dire alle cinque donne che verranno anche oggi. Succede ogni giorno»

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