Cronaca locale

"Dai, dammi il cinque". E violenta studentessa

Incensurato e in possesso di regolare permesso di soggiorno l'uomo è stato arrestato dalla polizia e portato in carcere

"Dai, dammi il cinque". E violenta studentessa

«Non voglio che si sappia al mio paese, perché mi vergogno». Di questo, solo di questo si è preoccupato l'egiziano fermato dalla polizia per aver palpeggiato il seno a una studentessa italiana alla fermata di Molino Dorino della metro lunedì mattina. Del suo paese, non della donna italiana aggredita. La sua terra e la sua reputazione là: ecco cosa gli stava a cuore. Il fatto è iniziato come un gioco alle 7.40 del mattino, quando nulla dovrebbe accadere fuori dalle righe del dovere giornaliero, perché per Milano è la pubblica alba dell'impeccabile senso del lavoro. Non è un'ora sospetta - anche se nessuna dovrebbe esserlo - non quell'ombra in cui le lancette dell'orologio possono segnare «pericolo» per una donna. Non è la notte. Una ragazza di Cornaredo, ligia al suo diario quotidiano, si reca alla metropolitana per andare a scuola e, come è sua consuetudine, aspetta le amiche. Fa freddo. Le amiche non arrivano. La studentessa decide di avvicinarsi a una delle macchinette automatiche per fare il biglietto, quando le si è accosta un giovane egiziano di 25 anni che comincia a chiederle di battere il cinque. Che gesto! Tra lo sport e la goliardia. La donna non sta al gioco, non ne comprende la ragione. «Dai dammi il cinque, dammi il cinque» ripete più volte lo sconosciuto come un clown fuori posto. Scocciata, lei fa finta di niente; dapprima ignora lo straniero ma, vista l'insistenza, passa dall'indifferenza al rifiuto. Quando l'uomo si trova di fronte al «no» femminile, scatta in lui quell'impulso primitivo che va ad offendere la donna. L'egiziano le mette le mani sul seno in modo molto pesante. La risposta della studentessa è uno spintone, per cercare di allontanare chi la molesta, lì in metropolitana, luogo di tutti, all'incedere della giornata quando anche i bambini dovrebbero viaggiare da soli ormai, se una città fosse sicura. La scena si anima. I presenti si accorgono del fatto. L'egiziano tenta di fuggire attraversando il tornello della metropolitana, ma viene bloccato da un addetto dell'Atm e da un viaggiatore. Al suo arrivo, la polizia verifica che l'uomo possiede un regolare permesso di soggiorno ed è incensurato. In teoria è un «buono» per la legge. Prima di essere portato a San Vittore per molestie sessuali, il ragazzo chiede agli agenti che non venga detto nulla al suo consolato, perché si vergogna. Ed è questo il particolare che storna. Perché si vergogna di aver compiuto quel gesto, che oggi porta al centro della cronaca tanti fatti dalle sfumature grigie, fosche, marroni per sprofondare fino agli scabrosi estremi delle violenze organizzate di Colonia? La vergogna dell'uomo fa credere che, in simili circostanze d'innocente vita quotidiana, nessuno al suo paese si sarebbe permesso di compiere un'avance del genere a una donna, sia che indossasse il burqa o no, e che il rispetto per il corpo femminile rientri per qualcuno nel solito proverbio «mogli e buoi dei paesi tuoi». Ovvero: quest'uomo della metro, un po' giullare un po' aggressore - perché, l'aggressione è un gioco? - avrebbe fatto lo stesso con una connazionale?Alla fine del traumatico evento la ragazza è stata visitata dal personale medico intervenuto, perché in stato di agitazione. Le 7.

40 del mattino sono una garanzia di libertà e tale devono rimanere in una città che assicuri ogni opportunità di movimento ai suoi cittadini, e che rispetta le sue donne perché non sono solo l'altra metà del cielo, ma della terra e della necessaria produttività sia fisica, che mentale.

Commenti