Cronaca locale

Dario Fo subito al Famedio tra malumori (e qualche no)

Da Lega e Fi dissensi per la sepoltura al monumentale Il figlio Jacopo: «Milano l'ha ignorato. Sala: «Rimedieremo»

Ieri una camera ardente allo Strehler con i gonfaloni di Comune, Città Metropolitana e Regione. Oggi lutto cittadino e funerali laici in piazza Duomo (ore 12) celebrati da Jacopo Fo e dal patron dello slow food Carlo Petrini. «Non sarà morto Dario Fo» come dice Alessandro Bergonzoni, ma per essere ancora vivo sta mettendo sull'attenti tutto l'apparato politico della città come non ha mai fatto prima di questi novant'anni.

Anche per la sua sepoltura. Non avrebbe potuto essere sepolto subito al Famedio, per regolamento avrebbe dovuto aspettare un anno. Per Silvia Sardone (Fi) avrebbe aspettato ancora, come aspettano tutti. E così anche per Massimiliano Bastoni (Lega). «Ma Fo non ha sempre difeso i poveri, gli ultimii? - sottolinea -. Gli ultimi e i derelitti vengono sepolti al Famedio? A parte che non ci vengono tumulati mai, ma se lo fossero aspetterebbero anche loro come tutti. Io ho votato: no». Invece la maggioranza del centro-destra alla fine ha approvata la nobile sepoltura, dimostrando l'animo nobile di chi comprende che nelle fasi più alte della vita, nascita e morte, non ci devono essere divisioni.

Oggi il grande clan del guitto Fo sarà nella piazza-salotto della città, come era salottino composto la camera ardente al Piccolo: e non ardeva per niente. Un passaggio composto, una morte da Nobel, alla faccia di coloro che hanno visto in Fo il fustigatore delle ingiustizie. Dal ministro ai Beni Culturali, Dario Franceschini, all'attore Alessandro Bergonzoni, a Paolo Jannacci, tanti hanno sfilato ieri nella cella mortuaria dell'attore della commedia dell'arte, che aveva una maschera naturale al posto del volto. «Perché per altri cittadini non si è riservato lo stesso trattamento? Come per Giorgio Albertazzi» si chiede Ignazio La Russa, Fondatore di Fratelli d'Italia. Non c'è molta corte alla camera ardente di Dario il giullare, forse sarà la pioggia che ha tenuto dentro casa guitti e ballerine, quelli delle sue canzoni. Ricordiamo che quando Fo celebrò le esequie della moglie Franca Rame, davanti al Piccolo, la folla era immensa, commossa, calda. Freddo per lui, che fu portato al teatro proprio dalla moglie, per anni scrittrice di molti suoi testi e ispiratrice di suoi spettacoli.

Ci sono due matite verdi dalla punta ben arrotata sulla bara senza croce. Sembrano due matite da seggio elettorale. C'è più politica che arte sulla ultima scena di Fo, ed è questo che porta a chiedere: è giusto che un artista abbia una parte, o l'arte deve essere finalmente super partes? Sarebbe bello che leggesse questo Jacopo Fo e ci desse una risposta, lui che fino all'ultimo si è lamentato di come Milano ha trattato il padre: «Lo ha ignorato». Un'ora in camera ardente dell'affabulatore di evangeliche ingiustizie e non si è visto un mendicante, un clocahrd avvicinarsi al feretro avvolto in un legno lucidato a specchio. Il sindaco Giuseppe Sala ha detto a Jacopo Fo che Milano farà di tutto per ridare all'uomo l'onore che si merita. «Ha dato a Milano più di quanto ha ricevuto, non ci sono grandi segni di omaggio, c ercheremo di rimediare».

Nella camera ardente di Fo non c'è nessun «mistero buffo».

Ci sono tanti saluti di circostanza, molti ministeri, dei quali nemmeno lui, se fosse vivo, sarebbe forse contento.

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