Cronaca locale

Delitti Lojacono e Vivacqua Usate due pistole diverse

Delitti Lojacono e Vivacqua Usate due pistole diverse

Sotto sotto gli investigatori ci contavano, perché in un colpo solo avrebbero risolto due delitti. Invece controlli approfonditi hanno escluso che la Beretta 7.65 usata contro Franca Lojacono sia la stessa arma che ha ucciso il consuocero Paolo Vivacqua. La donna venne aggredita sabato 16 giugno nel garage di casa a Desio da tre banditi che la minacciarono con una pistola, che però fece cilecca, e quindi la accoltellarono a morte. Il rapporto di familiarità con Vivacqua fece immaginare chissà quali scenari, subito smentiti dall’arresto 24 ore dopo degli assassini: tre balordi che speravano di mettere le mani su chissà quale tesoro.
Franca Lojacono, 61 anni, sposato con Santo Cammaudo, era la madre di Valentina, a sua volta moglie di Antonio, figlio di Paolo Vivacqua. L’uomo, 50 anni, era partito da Ravanusa, provincia di Agrigento, povero in canna e fece fortuna al nord, tanto da potersi permettere ville con piscina, auto di lusso, un elicottero e persino la residenza in Svizzera. Su come abbia fatto i soldi, la Guardia di finanza ha le idee ben precise: vorticosi giri di false fatturazioni e con questa accusa lo arresta nel 2009. Una seconda indagine fa finire in galera i suoi tre figli, Daniele, Gaetano e Antonio, nella primavera del 2012. Lui no, ma per il semplice motivo che il 14 novembre era stato ucciso nel suo ufficio con sette colpi di pistola calibro 7.65.
Stesso calibro della Beretta impugnata dal rapinatore improvvisato Antonio Giarrana, 29 anni, per derubare Franca Lajacono insieme due complici altrettanto maldestri, Antonio Radaelli, 51 anni, e Raffaele Petrullo, 33. Durante l’aggressione nel box di via dei Mariani, Giarrana prima perse tre proiettili, poi si fece disarmare. Si scagliò quindi contro la donna con un coltello, ferendo alle mani Radaelli che la teneva ferma. Dopo 24 ore Petrullo e Radaelli confessavano davanti a Lino Pantaleo, comandante della compagnia di Desio e tiravano in ballo il «capo».
Ma a questo punto, nelle mani degli investigatori rimane l’arma della rapina, di cui inizialmente non si riesce a capire la provenienza. I carabinieri sospettano possa essere la stessa che ha ucciso Vivacqua. Una speranza che dura una settimana, poi da un accurato esame delle denunce, emerge che è stata rubata in un’abitazione di Lesmo un mese fa, molto dopo il primo delitto dunque.

E quindi non può avere nulla a che fare con il delitto Vivacqua.

Commenti