Cronaca locale

"Enzo era tranquillo, dalla droga era uscito"

L'avvocato ipotizza un movente passionale dietro le revolverate ad Anghinelli che è in coma

"Enzo era tranquillo, dalla droga era uscito"

entrato in coma, ma dovrebbe salvarsi: a 24 ore dall'agguato di via Cadore, le condizioni di Enzo Anghinelli hanno subito un improvviso peggioramento, anche se i medici del Policlinico continuano a sperare di salvarlo. L'Immortale, come era chiamato nel giro dopo essere scampato a un precedente agguato, forse manterrà fede anche stavolta alla sua nomea.
Intanto proseguono le indagini per dare un nome agli autori del ferimento. Si cerca nel mondo del narcotraffico. Ma l'avvocato di Anghinelli apre nuovi scenari: «La droga non c'entra nella vita di Enzo non ci sono elementi per ipotizzare un movente di questo genere. La spiegazione va cercata in altre direzioni».

Alessandro Verga Ruffoni, difensore di fiducia di Anghinelli, è stato tra gli ultimi a vederlo prima che venisse preso di mira dal sicario sullo scooter. I due si erano incontrati giovedì nel tardo pomeriggio per mettere a punto le strategie processuali per chiudere la faccenda degli otto chilogrammi di marijuana che l'uomo era accusato di avere portato a Milano. «Avevano deciso di chiedere al giudice Mascarino di patteggiare la pena, in modo da chiudere definitivamente questa pagina», spiega Verga Ruffoni.

Com'era, Anghinelli? Appariva teso, preoccupato per qualche motivo? «Assolutamente no - risponde il legale - e anche per questo non credo affatto che il suo ferimento sia maturato nel mondo della droga. Da quel mondo ormai Enzo è fuori». Non potrebbe trattarsi del cascame di un vecchio rancore o di qualche conto in sospeso? «Tenderei a escluderlo perché anche i rapporti con i suoi coimputati sono rimasti ottimi».

Resta il fatto che alle otto del mattino, sfidando traffico e telecamere, gli hanno sparato addosso sei colpi: uno solo è andato a segno, ma ha rischiato di ammazzarlo. Le condizioni, che inizialmente erano apparse quasi buone, si sono aggravate quando i medici sono intervenuti in profondità: la pallottola ha danneggiato una parte di cervello, che ha dovuto essere asportata.

«Resta il fatto - spiega l'avvocato Verga Ruffoni - che anche le modalità di esecuzione non sembrano quelle di un commando di narcotrafficanti. Molti colpi a vuoto, e uno solo a bersaglio ma in un punto che potrebbe, come tutti speriamo, rivelarsi non mortale. Non parliamo certamente di killer professionisti, insomma».

E allora? Quali potrebbero essere le piste alternative? «Io credo - risponde il legale - che si debba indagare a trecentosessanta gradi. Non mi stupirebbe se per esempio si scoprisse che dietro c'è un movente passionale. Ma potrebbe anche trattarsi di qualcosa ancora più banale, come un diverbio stradale finito male».

Nel frattempo, però, le indagini della Squadra Mobile - pur non escludendo altri scenari - scavano soprattutto sulla pista del narcotraffico: una pista praticamente obbligata, visto che proprio al business degli stupefacenti erano legati tutti i precedenti penali di Anghinelli. Il problema è che l'uomo aveva legami e affari in una varietà di contesti criminali, e capire in quale indirizzare le indagini appare problematico. Era in contatto con serbi e calabresi, ma il suo nome compare anche nell'inchiesta dei pm Laura Pedio e Maurizio Ascione su Raul Garcia Castro, boss cubano del narcotraffico.

Luca Fazzo

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