Cronaca locale

Epopea e segni di un popolo che cambiò la storia d'Italia

La mostra dedicata agli «uomini dalle lunghe barbe» sarà al Castello Visconteo di Pavia fino al 3 dicembre

Francesca Amè

I primi unificatori «stranieri» della nostra Penisola sono vissuti nel VI secolo e poi fin nel Tardo Medioevo: erano gli «uomini dalle lunghe barbe», i Longobardi. Una popolazione affascinante e complessa che proprio in Lombardia mise radici con Pavia al centro e di cui ancora tanto c'è da conoscere e oggi al centro di un importante progetto espositivo in tre tappe: il castello Visconteo di Pavia, appunto, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e l'Ermitage di San Pietroburgo che ha collaborato con i due musei italiani per quindici anni di ricerche sul «popolo che cambiò la storia», come recita il titolo della mostra allestita fino al 3 dicembre nella città lombarda (andrà poi a Napoli, per approfondire il legame con Benevento, la città longobarda del Sud e nella prossima primavera a San Pietroburgo).

Un'esposizione estesa, un po' come il sogno di re Autari che, giunto allo Stretto di Messina dalla Longobardia corrispondente più o meno all'attuale Nord Italia, giurò che il suo regno non avrebbe avuto confini. «Longorbardi, un popolo che cambia la storia» ripercorre, grazie alla collaborazione con un centinaio di musei e trecento pezzi di pregio, l'epopea di una stirpe germanica che, nel lontano 568 e guidata dal valente Alboino, superò le Alpi, irruppe sul nostro Paese, fece a brandelli il sistema economico romano (ormai in decadenza) e generò un ibrido tutto nuovo.

Non poteva dunque che essere Pavia la sede principale di una mostra su questa civiltà di cui possiamo ora ammirare ben cinquantotto corredi funerari integri (una cifra davvero considerevole), epigrafi e preziosi manoscritti che fanno la gioia degli appassionati di vicende antiche.

Perché se l'allestimento è accattivante, se non mancano nemmeno ologrammi e ricostruzioni in 3D perfetti per le scuole, la punta di diamante sono i codici antichi e alcune necropoli inedite, da poco studiate: in mostra sono esposti il famoso Editto di Rotari del 643, proveniente da San Gallo, in Svizzera, che rappresenta la prima raccolta scritta dei Longobardi e poi il prezioso Codice delle Leggi Longobarde del 1005, contenente anche l'Origo gentis Langobardorum, con miniature preziose.

Non solo manoscritti, però: anfore, lucerne, gioielli, iscrizioni funebri, arredi liturgici ché l'alternanza tra il cristianesimo e l'animismo era continua -, fibule. Ci si concentra soprattutto su tre aspetti: le necropoli, l'importanza del cavallo, l'alimentazione e divertente è il caleidoscopio di 80 metri creato dal designer Angelo Figus per narrare la storia longobarda. Del resto, gli «uomini con le lunghe barbe» rimasero a lungo in Italia, ne cambiarono per molti versi la fisionomia, la lingua, le leggi: fino al primo millennio sperimentarono una unificazione che la Penisola non vide più per lunghi secoli.

La riscoperta del passato remoto della nostra regione può partire dalla mostra (godibile anche per i più piccoli: si organizzano anche «pit-stop per mamme e bimbi») e poi spalancarsi alla città: Pavia durante i fine settimana apre le cripte longobarde di Sant'Eusebio, San Felice e San Giovanni Domnarum, con possibilità di visite guidate in loco (www.mostralongobardi.

it, per orari e tour).

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