Cronaca locale

Il figlio Alberto: «Alla fine ha rifiutato le cure»

L'oncologo non ha voluto andare in ospedale ma ha preferito rimanere nella sua casa

Ha sempre sostenuto l'eutanasia. E, quasi in tutti i suoi libri, si è dilungato in lunghe riflessioni sul diritto del paziente a non soffrire. Ragionamenti a sfondo filosofico che, nella sua visione laica della cura del malato, facevano sempre emergere un profondo rispetto per chi era in lotta contro il dolore.

E anche lui, nei suoi ultimi giorni di malattia, ha scelto di non accanirsi. Non ha voluto essere portato in ospedale nè attaccato a nessun macchinario.

«In qualche modo non ha voluto essere curato alla fine. Non ha voluto essere ricoverato, non ha voluto nessun prolungamento, ha voluto andarsene e questo è stato inevitabile. Se n'è andato in maniera naturale». A raccontarlo è il figlio Alberto. «Nessuno pensava che ci sarebbe stato un decorso così rapido - aggiunge - Pensavamo addirittura di festeggiare i suoi 91 anni il 28 novembre, invece adesso ricordiamo l'ultimo compleanno in cui ha raccontato tutta la sua vita».

Alberto racconta che il padre ha dato coraggio a tutta la famiglia, sempre, in passato come negli ultimi tempi. Ed ora, accanto al dolore, arrivano i ricordi a consolare. Il figlio, che non ha intrapreso al carriera medica ma è diventato direttore d'orchestra, ricorda l'aspetto più artistico di Veronesi: «Scriveva poesie che poi stracciava e dipingeva quadri. Suonava la chitarra e lo ricordo mentre cantava le canzoni di Gino Paoli». Per omaggiare il padre oggi Alberto, prima della cerimonia funebre, suonerà il pianoforte per lui. «Ho scelto il Chiar di luna di Beethoven e Tu che di gel sei cinta, la canzone di Liù prima di ammazzarsi nella Turandot» anticipa. E poi rilancia l'idea che il padre Umberto promuoveva appena poteva: trasformare Milano nella città della cultura, portare la musica ovunque: nelle chiese e anche ai convegni medici, aprendo i lavori con un quartetto d'archi.

«Spesso ce lo dimentichiamo - commenta Alberto - ma papà era un grande uomo di cultura, di scienza e di idee oltre che un grande oncologo. Penso che siano oltre 50mila le persone che ha salvato, quindi c'è una riconoscenza profonda delle persone. Noi siamo affranti perché manca una persona che dava forza».

MaS

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