Cronaca locale

Una folla di spiriti inquieti per un lungo «Don Carlo»

Il coreano Myung-Whun Chu sul podio per l'edizione integrale già molto applaudita a Salisburgo nel 2013

Piera Anna Franini

Dopo 40 anni di assenza, martedì 17 gennaio, con repliche fino al 12 febbraio, torna alla Scala «Don Carlo» di Giuseppe Verdi nella versione integrale del 1886, la cosiddetta modenese, quindi in 5 atti e in lingua italiana. Si è visto «Don Carlo» anche in tempi recenti, pure in testa a stagioni, il caso del 2008 con Daniele Gatti sul podio, ma sempre nel formato ridotto, in quattro atti. Ma c'è curiosità, e si chiacchiera con sapienza intorno a questa edizione monumentale, tanto che per poterlo esplorare nella sua interezza si fa iniziare lo spettacolo alle ore 18.30 anziché alle consuete 20, visto che dura cinque ore abbondanti.

Un titolo impegnativo, soprattutto nei giorni infrasettimanali, tanto che, a un soffio dal debutto, galleria e i palchi a 90 euro sono andati esauriti, mentre sono ancora disponibili 400 biglietti a 300 euro di platea e palchi di zona 1. Al timone dell'impresa, il direttore coreano, verdiano votato, Myung-Whun Chung. Lo spettacolo è quella visto a Salisburgo nel 2013, firmato da Peter Stein, andato in scena come omaggio ai due secoli dalla nascita del nostro unico Giuseppe Verdi. Cast spettacolare a Salisburgo, e con vere punte a Milano. Si parte dal tenore Francesco Meli (Don Carlo), 36 anni, di Genova. Schivo, tutto arte e famiglia, è considerato il più interessante tenore italiano in circolazione. Un debutto di ruolo per questo tenore che a breve tornerà alla Scala in «Traviata», così come lo abbiamo - anche - applaudito nella prima scaligera del 2015 e ne «I Due Foscari». Un verdiano purosangue, una garanzia. Torna l'inossidabile Ferruccio Frulanetto, un Filippo II di lungo corso, in questi panni anche nell'edizione scaligera del 2008. Entra nel personaggio del monarca spagnolo da più di 30 anni ormai, conosce ogni sfumatura di questo uomo politico, padre e - per dirla con sue parole - «bigotto succube della Chiesa». Il segreto della longevità vocale di questo basso friulano? La scelta del repertorio giusto, una carriera costruita anche sui no, e i primi anni di attività dedicata a Mozart: un balsamo per la voce. Picchi, promesse e attese. Nel cast, vengono introdotte due voci fresche e giovani dell'accademia, in ruoli secondari, ma perfetta palestra. Operona di grande impatto drammatico, costruito attorno a dicotomie. Si scontrano pubblico e privato, padre (Filippo II) e figlio (Don Carlo), ragion di Stato e di cuore, con il corredo di strazi e rassegnazione, matrimoni senza amore e allora amori disperati: Don Carlo ama, ricambiato, Elisabetta di Valois, sua matrigna. C'è la spada di Damocle dell'Inquisizione e annesse brutalità.

Una folla di anime inquiete e, al centro, la figura dominante di Filippo II, re di Spagna e padre di Don Carlo. E sopra di lui, il Grande Inquisitore: colui che tutto può sarà Orlin Anastassov. Una trama complessa dove l'affresco storico si combina con lo scavo psicologico. Un titolo dove la verosimiglianza dialoga con la verità storica di personaggi realmente esistiti. Il caso di Filippo II, il principe Carlo, Elisabetta di Valois (il soprano Krassimira Stoyanova).

Personaggi storici della Spagna e Francia del XVI secolo che Stein ritrae fedelmente, con spirito filologico.

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