Cronaca locale

"Il futuro della musica? È il dialogo tra le culture"

Il grande direttore d'orchestra catalano sul podio del Conservatorio, nel concerto dedicato a Marais

"Il futuro della musica? È il dialogo tra le culture"

Jordi Savall, un esploratore del passato che guarda al futuro. Il direttore d'orchestra e musicologo catalano domani sera con la sua orchestra - Le Concert des Nations - al Conservatorio Verdi di Milano evocherà suggestioni della pellicola-culto Tous les matins du monde del regista Alain Corneau, dopo la proiezione dello stesso film che racconta il rapporto conflittuale tra due compositori alla corte di Luigi XIV: Marin Marais e de Sainte-Colombe.

Maestro Savall sono vent'anni di concerti per la Società del Quartetto, si può fare un bilancio?

«Abbiamo avuto esperienze bellissime in varie occasioni, con programmi davvero interessanti. Il tutto è sempre stato fatto con grande professionalità, intesa e dialogo con gli organizzatori di questo ente storico».

Ora una suggestiva serata dedicata al compositore Marais, qual è stata la sua importanza nella storia della musica occidentale?

«Marais fu compositore alla corte del Re Sole. Ha lasciato un preziosa collezioni di libri con centinaia di brani scritti per la viola da gamba. Uno strumento che ha saputo portare ai più alti livelli virtuosistici ed espressivi. Non solo, ha scritto la più bella opera del periodo, Alcyone, si assiste a una rappresentazione orchestrale molto suggestiva della tempesta».

Il film culto sul musicista e una colonna sonora riuscitissima: come è avvenuta questa magia?

«Il regista Corneau (scomparso nell'agosto 2010, ndr) appassionato dei musica barocca francese e della viola da gamba, voleva fare appunto un film su Marin Marais. Dunque mi ha contattato per il progetto. Per me è stata un'esperienza davvero magnifica. Un'occasione per ricordare anche che una cosa sono i concerti e un'altra, con la viola da gamba, suonare la musica di questo autore».

Oltre a dirigere spesso si esibisce con la viola da gamba, uno strumento affascinante...

«Con questo strumento mi posso esprimere con la massima libertà. Il suo fascino è il risultato di una mescolanza, prima c'era la vihuela. Il suo suono è delicato, vicino a quello della voce umana, con il suo suono si può parlare con dolcezza».

Lei ha affermato che la musica classica oggi, in qualche modo, è «ferma», in che senso?

«In passato su questo punto sono stato frainteso. Dico solo che per tornare a creare bisognerebbe tornare alla pratica dell'improvvisazione. Se guardiamo ai secoli scorsi grandi improvvisatori-compositori sono stati personaggi come Bach, Corelli e Frescobaldi per dirne alcuni. L'improvvisazione, la capacità di farlo che per me è fondamentale, bisognerebbe insegnarla nei Conservatori».

Però ci sono nuove correnti che per comporre riscoprono e attingono dall'antichità. Cosa ne pensa della scelta e dei risultati?

«È quello che facciamo noi con la musica barocca e coi linguaggi delle altre culture, da Gerusalemme a Istanbul. Noi in Occidente lavoriamo sulla musica scritta, nella cultura orientale è importante la memoria. Un buon dialogo tra le culture produce il nuovo».

C'è un grande interesse per la musica antica attualmente. Il filososo Adorno parlava dell'«ascoltatore risentito», deluso dal nuovo...

«Non sono d'accordo. La musica antica è stata in realtà scoperta in epoche recenti, ignorata fino al diciannovesimo secolo, quando si è cominciato a fare un lavoro di recupero del passato».

Che rapporto ha con Milano, il suo pubblico?

«Ho cominciato a venire qui negli anni '70, ricordo Sandro Boccardi. Milano ha delle cose in comune con la mia città, Barcellona.

Il pubblico qui è straordinario, c'è grande interesse per l'ascolto, grande passione».

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