Cronaca locale

Il gergo e i «pacchi» ai clienti Comasina dei baby pusher

In un'operazione del commissariato e del pm Musso le imprese di venditori e acquirenti nemmeno 18enni

Luca Fazzo

Non sono grandi spacciatori, anzi: non sono grandi affatto. Stanno sul crinale dei diciott'anni: alcuni appena sopra, alcuni sotto. Non studiano, non lavorano. Vendere droga non li arricchisce ma dà un senso alle loro giornate, alle ciondolate interminabili nelle strade dietro via Mac Mahon. Hanno elaborato un loro lessico: un po' gergo da quartiere, un po' espediente ingenuo per eludere indagini ed intercettazioni. L'«amico» è l'hashish, l'«amica» è la marijuana. «Mi fermo venti minuti» significa «devo comprare venti euro di fumo».

Due di loro li hanno arrestati qualche mattina fa, gli agenti del commissariato Comasina, su richiesta del pm Marcello Musso. Diciannove anni a testa, uno italiano e l'altro ecuadoriano. Scenari domestici identici: madri divenute madri troppo giovani, nessuna traccia dei padri, fratellini che vengono svegliati prima dell'alba dall'entrata dei poliziotti, vedono la casa ribaltata, sacchetti di droga saltare fuori. E i due che vengono portati via.

Via Grigna, via Montevecchia, via Monte Barro: le «viette», come le chiamano nelle intercettazioni, sono il loro regno. Qui spendono le loro giornate in attesa dei clienti. Sono baby-pusher, ma i loro complici sono ancora più baby di loro: nelle carte del commissariato saltano fuori nomi di indagati di quattordici e quindici anni, ragazzini appena usciti dalle medie e già pronti a darsi da fare con la droga, perché è comunque meglio che andare a scuola. E se proprio a scuola bisogna andarci, essere quello che porta il fumo procura amicizie, rispetto, quattrini. Ma proprio dalle mamme delle scuole dove la roba veniva fatta girare è partito il primo allarme al commissariato di zona.

Li hanno seguiti e intercettati in diretta, per mesi, prima di stringere la rete. Li hanno sentiti accordarsi con i clienti, poi li hanno visti incontrarsi negli androni o dietro le auto. Qualche volta i clienti, dopo essersi allontanati, sono stati fermati: e spesso erano ancora più giovani degli spacciatori, preadolescenti che avevano ritenuto normale andarsi a comprare venti o quaranta euro di droga da dividere con gli amici. Ma ci sono anche clienti adulti, gente di cinquant'anni che non si vergogna di andare a compare lo sballo da pusher che potrebbero essere i loro figli.

È il lato oscuro di una città globalizzata, venditori e acquirenti sono italiani, arabi, sudamericani, parlano tutti lo stesso gergo basilare. I poliziotti li hanno seguiti dalle «viette» fino in piazza Prealpi e lungo viale Monte Ceneri. Li hanno ascoltati mentre come spacciatori esperti tirano bidoni ai clienti, inumidendo la marijuana per farla pesare di più: «Te lo giuro, bro, mi ha appena inviato la foto, fa 30 grammi sul bilancino ed io gliel'ho pure bagnata», «Fra, ma è impossibile, adesso chiamo io il tipo, se vuoi ti faccio parlar con lui, cioè io non voglio essere messo in mezzo, io non ho guadagnato un cazzo».

Piccole, tristi storie di devianza giovanile: ma dietro le quali si intravvedono ombre pesanti. Perché i pusher in erba son il braccio operativo di gente di maggior peso: a uno degli arrestati, la polizia è arrivata seguendo i contatti di uno svizzero arrestato il 14 febbraio con mezzo chilo di eroina, un carico da gang organizzata. «In fondo - spiega Antonio D'Urso, capo del commissariato - la gente è più angosciata dallo spacciatore sotto casa o a scuola che dal narcotraffico.

E anche a queste paure dobbiamo dare risposta».

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