Cronaca locale

Gesto da barbari, la cultura non c’entra

"Macao" ci propone un'idea della cultura da centro sociale. Ecco la proposta: che tutti i cittadini versino un piccolo contributo affinché il Comune acquisti la Torre Galfa e ne faccia la sede di studi d'artisti e di esperienze teatrali e performative

Gesto da barbari, la cultura non c’entra

La Torre Galfa è un brutto palazzone, cento metri circa per trenta piani, edificato negli anni del primo, desultorio boom grattacielizio della città (dal 1955 ai primi '60), che produsse il Pirellone, la Velasca e quella manciata di edifici inguardabili che sono il fantasma di un sogno irrealizzato chiamato «centro direzionale». Se la Galfa non è l'«albero di trenta piani» di Celentano, avrebbe comunque potuto esserlo. Di proprietà del gruppo Ligresti e da parecchi anni sfitto, il palazzone non è mai stato simbolo di niente fino a quando un gruppo di persone appartenenti a svariate associazioni culturali l'hanno occupata per farne la sede di un centro di attività culturali che, se lascia nel vago (per ora) il tipo di attività che intende svolgere, ha però già un nome: «Macao».
L'assessore alla cultura, Stefano Boeri, pur esprimendo la necessaria disapprovazione per i metodi degli occupanti - si tratta in ogni caso di occupazione abusiva - ha espresso su facebook anche una certa solidarietà perché il gesto, per quanto barbarico (non è un'offesa), tocca un problema vivo della città: la quantità davvero preoccupante di case sfitte nella città. Questo tema è poi diventato uno dei cavalli di battaglia dell'assessorato di Boeri, che ricorda come «a Milano troppi spazi di grande qualità restano vuoti (perché sfitti e invenduti)» mentre potrebbero essere resi disponibili «per lavorare e fare cultura».
E' sul «fare cultura» che, come si dice, la vedo un po' grigia. Il problema, beninteso, è reale. I costi, e l’ho vissuto sulla mia pelle durante l’esperienza nel consiglio di amministrazione del Piccolo, sono diventati così alti che già svolgere a Milano un'attività commerciale libera è difficilissimo, figuriamoci un'attività culturale.
Nella sua nota su facebook, Boeri auspica azioni volte a recuperare la positività di questa occupazione sul piano della legalità. Personalmente, trovo che il problema sia un altro. Le cronache su alcuni quotidiani nominano, quale unico soggetto dell'azione, dei non ben identificati «lavoratori dell'arte», che mi sembra una definizione sovietica, oltre che demenziale. Io so che cos'è un pittore, uno scrittore, un attore, un macchinista, un direttore di scena, ma non so cosa sia un lavoratore dell'arte, e quindi non so come dargli fiducia.
Forse è solo un problema mediatico, ma l'impressione che la lettura degli articoli ci dà è che «Macao» ci voglia proporre un'idea della cultura da centro sociale, o giù di lì. Quindi una cultura autoreferenziale. Lancio allora la mia proposta folle. Che tutti i cittadini versino un piccolo contributo affinché il Comune acquisti la Torre Galfa e ne faccia davvero, a modici canoni d'affitto, la sede di studi d'artisti e di esperienze teatrali e performative. Non un "riuso", come dice Boeri, ma un vero uso.

Questo obbligherebbe, se non altro, alla progettualità.

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