Cronaca locale

Il giallo della villa: "Costretta a svendere la casa di Giò Ponti"

La figlia dell'artista denuncia la sua badante: "Mi ha ingannata". Ma la colf è stata assolta

Il giallo della villa: "Costretta a svendere la casa di Giò Ponti"

Una brutta e triste storia di incomprensioni familiari, una vecchiaia difficile, una colf accusata di avere plagiato e derubato la sua datrice di lavoro, e poi assolta. Una storia quasi comune se al centro non ci fosse un palazzo che vengono a studiare gli appassionati di storia dell'architettura: via Giovanni Rancaccio 9, a metà strada tra corso Sempione e via Vincenzo Monti, zona di verde e di ville patrizie. Qui il grande Giò Ponti progettò una casa di tre piani dalla singolare forma a ventaglio, sormontata da piccoli obelischi e oggi quasi totalmente coperta da un'edera lussureggiante. Nella splendida casa, dopo l'architetto del Pirellone, hanno abitato una delle figlie e i nipoti di Giò Ponti. Ma di quanto vi è accaduto negli ultimi anni hanno dovuto occuparsi la Procura della Repubblica, e da ultimo il giudice Clementina Forleo, chiamata a processare la donna accusata di avere approfittato dell'età e della ingenuità della figlia di Ponti.
Tutto inizia quando nel marzo di tre anni fa in Procura arriva la denuncia di Elisa Ponti contro O.M., la donna che a partire dal 2000 è stata la sua colf, la sua assistente, oggi diremmo la sua badante. Nel corso degli anni, racconta la Ponti, l'influenza di O.M. su di lei è andata sempre crescendo: approfittando dei difficili rapporti tra lei e il figlio che abita al piano di sopra, la collaborarice sarebbe riuscita «a carpirne la fiducia e a farsi che la propria vita fosse posta nelle sue mani». O.M. sarebbe arrivata a farsi cointestare il conto in banca, da cui avrebbe poi attinto liberamente. Fino al colpo finale: avrebbe istigato Elisa Ponti a vendere sottocosto l'appartamento di via Rancaccio, finito ad un signore di nome Rocco Talia, e avrebbe fatto approdare i bonifici sul conto cointestato. O.M. viene rinviata a giudizio per circonvenzione di incapace. Nomina come difensori Giuseppe Catapano e Luigi La Marca.
Ma al processo davanti al giudice Forleo le cose si complicano, la verità si aggroviglia, e come spesso accade quando la giustizia mette il naso tra le mura di una famiglia, torti e ragioni si mischiano. Testimonianze e documenti fanno intuire che in realtà Elisa Ponti non era, all'epoca dei fatti, così provata dagli anni da venire facilmente turlupinata («lucida e tranquilla», la definisce la direttrice di banca). Dopo le prime testimonianze, la stessa Procura chiede che l'accusa di circonvenzione di incapace venga abbandonata, ma che O.M. venga processata per appropriazione indebita. Ma alla fine delle udienze, lo stesso pm chiede l'assoluzione piena. E la Forleo assolve: è provato, scrive il giudice, che i rapporti tra Elisa e i figli «erano da tempo deteriorati, e non certo per colpa di O.M.».

E «può ragionevolmente ritenersi che la Ponti, sia per la sua indole sia per l'anomala tipologia dei rapporti con i figli, avesse voluto vendere la sua casa per sfuggire alle pressioni del figlio e per godersi altrove l'ultima parte della sua vita».

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