Cronaca locale

Gorgheggi d'alta moda In mostra i costumi della «Divina» Callas

Nel museo del teatro gioielli e abiti di scena: il mito del soprano a 40 anni dalla morte

Piera Anna Franini

«La Scala è un teatro che offre il miglior spettacolo possibile. Può non piacere all'estero quello che dirò, ma la Scala come qualità dell'orchestra, coro, messa in scena, serietà di lavoro offre il meglio. Per me è il tempio dell'arte». Sono le parole della Divina. E di divina ce n'è una sola: Maria Callas, il soprano-leggenda scomparso il 16 settembre 1977.

La Scala la ricorda a 40 anni dalla morte con la mostra Maria Callas in scena. Gli anni alla Scala, a cura di Margherita Palli e allestita nel museo del teatro da oggi al 31 gennaio. Si raccontano i dodici anni (1950-62) che trasformarono la cantante in un mito. La narrazione è condotta attraverso foto, recensioni, 14 abiti di scena più una ricostruzione degli allievi dell'Accademia, arie nella nuova edizione rimasterizzata da Warner Classics e un documentario contenente - fra l'altro - un video pirata che la ritrae in Medea. Quindi interviste alla cantante, Herbert von Karajan e Luchino Visconti, l'uomo che fu il pungolo per la metamorfosi della Callas: desiderosa di adeguarsi al teatro di quel regista speciale, decisa a essere un'attrice-cantante. Callas vi riuscì, unendo la potenza del gesto alla leggerezza del belcanto. In quegli anni la Callas divenne prepotentemente bella, glamour, acquisì un fisico sempre più sottile fino alla conquista definitiva del vitino d'ape. Una trasformazione visibile anche attraverso i costumi esposti, creati per quella sua figura esile ma imperativa, traboccante di carisma. Abiti firmati da Salvatore Fiume e Piero Zuffi, pittori da cavalletto portati sul palcoscenico, da Lila de Nobili, Piero Tosi, Aleksandr e Nicola Benois, Leonor Fini, Ebe Colciaghi.

Callas, una donna che aveva la «tragedia nel sangue», osservò Visconti. Cantante dalla voce piena di inquietudine particolarmente adatta per ruoli sacrali, esemplarmente Medea, e demoniaci, vedi Lady Macbeth. In mostra, fra gli altri, il costume di Lady Macbeth disegnato da Nicola Benois e di Medea firmato Salvatore Fiume. La cantante viene ritratta al lavoro con un giovane Leonard Bernstein, von Karajan, Gianandrea Gavazzeni. Quindi con Victor De Sabata con il quale inaugurò una stagione scaligera (fu De Sabata a collocare la prima al 7 dicembre). Con Gavazzeni firmò Fedora, Il turco in Italia, Anna Bolena, Un Ballo in maschera. E con Carlo Maria Giulini, Visconti e la costumista Lila De Nobili forgiò la storica Traviata, fra realismo, spunti veristici e un crepuscolarismo che il regista aveva sperimentato nel teatro di prosa. Visconti, perfezionista maniacale, si occupò di ogni dettaglio, perfino la posa delle camelie. «Non mi fidavo dei tecnici» commentò. Le scene e i costumi sono andati dispersi e i gioielli di scena sono gli unici «reperti storici» disponibili ed esposti all'ingresso della mostra.

Fra le recensioni spicca quella visionaria di Eugenio Montale. «Fenomenale soprano leggero tragico di sapore espressionistico...

Quando non canterà più, lascerà dietro di sé una leggenda», scrisse in una recensione del 1955 a proposito di Sonnambula, regia di Visconti e direzione di Leonard Bernstein.

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