Cronaca locale

I capolavori snobbati dal Museo del '900

Oltre mille persone alla Triennale per l'inaugurazione della mostra sugli Anni '30

I capolavori snobbati dal Museo del '900

Un pienone come quello che l'altra sera ha assiepato il primo piano della Triennale in occasione dell'inaugurazione della collezione d'arte di Giuseppe Iannaccone non è facile a vedersi, soprattutto trattandosi di una mostra storica e per di più tutta italiana. Oltre un migliaio di persone, dalle 18.30 fino alle 21.30 si è messo in coda per poter ammirare l'esposizione intitolata «Italia 1920-1945. Una nuova figurazione e il racconto del sé», una raccolta di un centinaio di opere, molti capolavori, dell'arte italiana tra le due guerre. I milanesi sono accorsi in massa per diverse ragioni. Il proprietario della collezione è personaggio assai noto in città, non soltanto perchè titolare di uno degli studi legali più blasonati (ha gestito cause storiche come il crac del Banco Ambrosiano), ma anche per la sua passione perduta per l'arte che, dagli anni Ottanta in poi, lo ha portato a collezionare dipinti di assoluto valore del primo Novecento e, più recentemente, di autori contemporanei. Ma è soprattutto la raccolta sugli anni Trenta a rendere questa collezione speciale e di valore internazionale. «Mi interessavano e ho comprato negli anni soltanto capolavori di quegli artisti non allineati ai canoni dettati da Novecento Italiano, la corrente fondata da Margherita Sarfatti». E infatti la collezione da ieri aperta al pubblico vede opere (molte inedite) di Birolli, Guttuso, Mafai, Pirandello, Badodi, ma anche Rosai, Scipione e Ziveri. Proprio di questi ultimi due artisti il neonato Museo del Novecento chiese e ottenne in prestito due opere per tre anni, «Il profeta in vista di Gerusalemme» e «Il postribolo». Perchè proprio quelle? «Erano gli unici due autori di cui il Museo non aveva capolavori» dice Iannaccone. Dal 2011 ad oggi il Museo del Novecento ha ospitato e organizzato una trentina di mostre, tra cui «Slitscape - fotografie di Claudio Sinatti», «Arte e Spazio Urbano», «Licalbe Steiner, grafici partigiani», le fotografie della Bank of America Merryl Linch, quelle di piazza Duomo di Gabriele Basilico e quant'altro. A nessuno - dall'ex direttore del museo Marina Pugliese all'assessorato alla Cultura - che sia balenata l'idea di ospitare una collezione milanese così importante e conosciuta, oltre che disegnata a pennello per il Museo dell'Arengario. Una raccolta che, tra l'altro, comprende dipinti inediti che raccontano la Milano degli anni Trenta come «I poeti» al Parco Lambro di Renato Birolli, «La città degli studi» dello stesso Birolli, il «Foro Buonaparte» di De Pisis, «Il caffè» di Arnaldo Badodi. «Se me l'avessero chiesta - dice l'avvocato - sarei stato onorato di prestare l'intera collezione, ma in tutti questi anni nessuno lo ha fatto, prima del presidente di Triennale Claudio de Albertis».

Che, se non fosse scomparso prematuramente, sarebbe certamente lieto del boom di visitatori, questione pure tanto cara a Palazzo Marino.

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