Cronaca locale

Tra i fanatici del rischio: «Ma quale malattia Subito un casinò a Milano»

Viaggio nelle sale del gioco d'azzardo «Scommesse su tutto, è uno stile di vita»

Elena Gaiardoni

Sono le cinque della sera e la sfida della corrida si svolge dentro la sala di Wincity in piazza Diaz. Ci sono più ruote di slot machine che girano qui, che ruote di automobili in corso Buenos Aires. Età media dei giocatori? Una sessantina diciamo. Di giovani se ne vedono pochi. Si contano sulle dita di una mano: quattro, e sono molto giovani. Ventenni, a malapena.

«Perché qui? E perché no! Giocare è un normale aspetto della vita basta non demonizzarlo. Non mi sento condannato a fare il giocatore per il resto dei miei gorni, solo perché ogni tanto faccio un tiro di slot. Credo che se guardiamo dentro la vita di tutti ci sia qualcosa che non va, e magari peggiore del gioco» dice Cristiano, che tiene una sigaretta dietro l'orecchio e sta seduto a una «macchinetta» nella sala per non fumatori. Entrando i fumatori, e sono la maggioranza del centinaio di persone che si muovono all'interno della sala in modo silenzioso, visto non c'è persona più silente di un giocatore, stanno sulla destra, chiusi da porta vetri.

Tante stranezze ci potevamo aspettare di incontrare a Wincity, ma non di vedere una coppia di sposi che celebra qui il primo aperitivo subito dopo la cerimonia. Claudio e Damiano si sono detti «sì» un'ora fa a palazzo Reale. Claudio lavora vicino alla sala giochi e ogni giorno viene qui a pranzare. «Domani sera faremo il cenone nuziale, ma desso ci siamo fermati al buffet del Wincity per un rinfresco con gli amici» racconta. Ha un elegante gardenia stabilizzata, con brillio di strass al centro, e sta prendendo cibo dal buffet. Il «sì» matrimoniale è la scommessa più incredibile, il gioco dei giochi.

Alcuni signori sono vestiti proprio da tali. Completo a quadretti stile Valentino, cravatta nera, camicia bianca. Come Giorgio R. di 71 anni. Diciamo che l'appellativo neoclassico «ludopatia», neoclassicismo sottolineato dall'Accademia della Crusca, gli si addice. «Il gioco è una forma di vita. Io gioco con tutto. Scommetto se scenderà la pioggia, se al semaforo verde partirà prima la macchina nera di quella blu, se la donna che è davanti a me sulla strada è bella solo da dietro o anche davanti. Non mi sento un ludopatico, dal momento che mi diverto. I ludopatici sono quelli che sperperano il patrimonio. Se i soldi li vinci, nessuno ti chiamerà mai ludopatico». E bisogna ammettere che lui sta arrotolando una mazzetta di banconote da cento euro, che parlano di una somma consistente.

Molte le donne, sopratutto dimesse. Hanno l'aspetto di vecchie casalinghe sole, mai coniugate, con quel look che hanno sempre avuto le mendicanti che danno da mangiare ai piccioni nelle fiabe di Natale. Solo una signora è ben vestita, sulla quarantina, griffata e pare appena uscita dal parrucchiere. «Milano è una città dove non si gioca bene» dice. Perché? «Mi scusi non c'è neppure il Casino. Una metropoli come questa in cui c'è una sala con slot machine... questo non è giocare, è stare alle giostre. Vengo qui quando sono annoiata dai discorsi delle amiche. E' un modo per restaere soli e staccare la testa. In fondo è anche un modo di aspettare, e aspettare che arrivi un dono è una cosa bella, in un mondo in cui di cose belle ce ne sono gran poche. Di questo nessuno si sente in colpa? Perché mi guarda male?».

Nessuno la guarda male, se non la slot machine che ha fame di gettoni se aspetta che si finisca seppur una breve intervista.

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