Cronaca locale

"Per i Giochi largo ai giovani e la città entrerà nell'olimpo"

La ricetta del delegato Cio: bisogna coinvolgerli subito Andare nelle scuole a spiegare il senso delle Olimpiadi

"Per i Giochi largo ai giovani e la città entrerà nell'olimpo"

Quarant'anni di venti olimpici e poi all'improvviso i cinque cerchi calano sui Giochi meno scontati, quelli invernali del 2026, per i quali una metropoli del Sud Europa sconfigge la nordica Stoccolma. Giochi anche questi, in fin dei conti, ma più politici che atletici. Non per nulla meno competitivi. E l'esultanza di Milano e Cortina, davanti a quel cartello che le incorona, la dice lunga sull'attesa. Era la fine degli anni Ottanta quando in un ristorante sotto la Madonnina nacque l'idea di una candidatura lombarda per il 2000. Eravamo quattro amici al bar ma in realtà erano tre. Gianni Brera, Ottavio Missoni - che prima di essere uno stilista corse la finale dei 400 ostacoli a Londra nel '48 - e Franco Ascani, delegato italiano del Cio, coordinatore del master in gestione dello sport, marketing e società alla Bicocca e presidente della Ficts, organizzatrice del prestigioso festival internazionale del cinema dello sport e tv.

Che cosa ereditiamo di quell'esperienza di cui fu promotore.

«Se oggi questa vittoria è stata possibile lo si deve largamente a quel tentativo pionieristico che precipitò per effetti estranei allo sport. Purtroppo».

Era il '92. Intende Tangentopoli?

«Se vogliamo dire così, possiamo. In realtà i segnali si videro a gennaio, prima che scoppiasse il caso. O, se preferisce, lo scandalo. Tuttavia, il crollo di un'intera classe politica rese impossibile continuare l'iter procedurale e rimase solo il dossier. Poi vinse Sydney».

La nascita del comitato era precedente di qualche anno.

«Quella cena risale all'87 e l'idea scoperchiò invidie che sfociarono nell'azzardo romano, firmato dall'allora sindaco Rutelli e anch'esso mai sfociato in un atto ufficiale. Al contrario di Torino che ha ospitato le Olimpiadi nel 2006. Ora ce l'abbiamo fatta noi».

Anche con un pizzico di fortuna...

«Quando i rappresentanti del Cio hanno fatto il sopralluogo in città è andato tutto bene ma, tornando da Livigno, abbiamo trovato un alleato insperato nella fortuna. In Valtellina, dove si svolgeranno le gare di sci alpino maschile andava tutto bene però, al rientro a Milano, una frana ha danneggiato la strada dopo il passaggio dei commissari. Se fosse accaduto prima, anche senza pericolo di incidenti, sarebbe stato impossibile convincerli».

Allora, quali errori non dovremo ripetere?

«In primo luogo cullarci sugli allori e pensare che sette anni siano lunghi. In realtà sono un tempo brevissimo. Bisogna già mettersi al lavoro. Senza perdere neppure un minuto».

A che cosa occorre dare la precedenza?

«Sicuramente agli impianti. All'epoca c'erano zone che avevano molte piscine e poi non se ne trovavano più in un raggio di 50 chilometri. E oggi con gli stadi invernali non siamo messi meglio».

Il palazzo del ghiaccio è stato adibito ad altro e l'Agorà non è certo una struttura olimpica.

«Bisognerà ristrutturare il Palavobis, o Palatrussardi o come si chiama Attrezzare il Forum. E inventarsi qualcosa. Olimpiadi invernali non significa solo sci e pattinaggio, ma anche discipline strane come il curling».

Che cosa potremmo imitare da Torino?

«Non certo la gestione, però l'idea di premiare gli atleti vincitori in centro non sarebbe male. Credo che sarà riproposta e avremo il podio in piazza Duomo».

Non è improponibile che un vincitore riceva la medaglia qualche giorno dopo la gara?

«Non più di tanto. Resta uno spettacolo e la gente assisterebbe con interesse e gioia. Diventerebbe una festa. In una parola, l'Olimpiade».

Quale pubblico immagina?

«Il più vario e universale che si possa ipotizzare. Arriverà il mondo».

Questa è già una città multirazziale. Sarà un bene o un male?

«Benissimo. Per qualche settimana lo diventerà ancora di più ma i maggiori benefici si vedranno nel tempo. Ho assistito a 14 edizioni dei Giochi e posso dire che è un colossale spot che attirerà a Milano turisti per anni e anni».

Una ricetta per fidelizzare la platea?

«Puntare fin d'ora sui ragazzi. Andare nelle scuole e insegnare loro che cos'è lo spirito olimpico, ovvero amicizia. Lealtà. Correttezza. Solidarietà. La Ficts ha già intrapreso questa strada. A maggio nell'incontro all'Arena con i più giovani abbiamo iniziato a spiegare il senso dei Giochi. Ne avevamo 47mila. Gli spettatori delle gare di Milano e Cortina saranno principalmente loro. E i campioni di domani, che vorranno imitare i fuoriclasse del 2026, stanno nascendo adesso».

Tasto trasporti...

«Non siamo messi malissimo. Per il 2026 sarà pronta la Mm4 e gli aeroporti sono collegati, anche se andranno potenziati. Il problema saranno le strade. E, a trasformarsi, sarà ancora la città. Il modello Barcellona ha portato una trasformazione urbanistica con le sopraelevate, Atene invece ha trasformato il vecchio porto. Milano dovrà trovare un sistema di accesso a Santa Giulia, dove sorgerà il villaggio olimpico. Un'operazione che riqualificherà Rogoredo».

E San Siro

«Ospiterà la cerimonia di apertura. Poi si parla di demolizione. Il tempo dirà. La chiusura invece tocca all'Arena di Verona».

Ultimo tema, il più delicato. La sicurezza.

«Non sarà bello dirlo ma basta copiare pedissequamente Londra 2012. la tensione era altissima, non è sfuggito niente»

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