Cronaca locale

«I miei primi 40 anni fotografando la città della moda»

In mostra i ritratti dell'autore simbolo dell'iconografia fashion, dai '70 a oggi

Mimmo di Marzio

Milano, come Giovanni Gastel l'ha definita nella sua recente autobiografia, è un «Istante eterno». È la città dei nuovi grattacieli, delle terrazze e dei set della moda; per un fotografo appassionato, uno scenario ben diverso rispetto ai fabbriconi immortalati da Gabriele Basilico. «I grandi maestri restano tali - ha commentato al Giornale - ma oggi forse lo sguardo è cambiato. Anche grazie a Expo, che ha fatto alzare la testa a una città che non voleva ammettere di essere bella. Oggi finalmente un fotografo può metterne in luce i colori e non solo il suo volto più austero e pragmatico».

Joseph Beuys diceva che ogni uomo è un artista, e oggi tutti hanno una macchina digitale nel proprio smartphone pronta all'uso.

«È una rivoluzione copernicana con cui noi professionisti dobbiamo giustamente fare i conti. La fotografia è diventata un linguaggio globale, ogni giorno sulla rete vengono postati tre miliardi di scatti. Ma nella storia è sempre stato così: nella scrittura, prima della stampa dei caratteri, c'erano gli amanuensi che ritenevano di esserne depositari. E prima della fotografia l'immagine era appannaggio dei pittori».

Oggi come si distingue un autore?

«Serve uno sforzo ancora maggiore che in passato per differenziare il proprio messaggio estetico cercando di esprimere nell'immagine il proprio bagaglio identitario. La fotografia d'autore dev'essere riconoscibile non solo nell'arte ma anche nella fotografia commerciale».

Lei ha lavorato con le riviste di moda più prestigiose: «Mondo Uomo», «Donna», «Vogue», «W», «Elle». Milano è considerata la mecca per i fotografi di moda o aspiranti tali...

«È ancora così ma io vedo troppa omologazione, migliaia di ragazzi che arrivano negli studi con i book tutti uguali. E invece, per raccontare il mondo devi anzitutto decidere come sei tu: introverso, estroverso, aggressivo...».

Non tutti hanno avuto la fortuna come lei di avere uno zio chiamato Luchino Visconti...

«Beh, il clima familiare è stato importante. Zio Luchino era un titano della cinematografia e da lui ho soprattutto cercato di attingere il metodo, oltre all'amore per l'immagine. Non tutti sanno che era anche anche fotografo, come mia nonna Carla Erba, che era la nipote di Carlo Erba».

Il lato aristocratico della famiglia, quello di mamma Visconti di Modrone, sembra aver esercitato un'ascendente maggiore sulla sua arte.

«Direi di sì. Mio padre, che aveva un'estrazione più borghese, voleva che mi laureassi e quando capì che volevo fare il fotografo mi regalò uno specchio e un pettine: ti serviranno per fare le foto per i passaporti (ride)... Anche quando ero già famoso, mi chiamava se doveva rinnovare i documenti.

Non volli studiare e mi tagliò i fondi, ma questo mi fece crescere».

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