Cronaca locale

I volti del Brasile che piange "dipinti" da 70 anni di arte

Apre al Pac "Il coltello nella carne": quadri, fotografie, installazioni e performance dei trentenni di ieri e oggi

I volti del Brasile che piange "dipinti" da 70 anni di arte

Quello in mostra al Padiglione d'arte contemporanea di via Palestro, è il Brasile che non ti aspetti: niente colori, niente gioie, niente carnevalate. Il coltello nella carne (da oggi fino al 9 settembre, con un ricco programma di performance, visite guidate e workshop per tutti, bambini inclusi, www.pacmilano.it) racconta il lato oscuro del Paese. Una trentina di artisti brasiliani di diverse generazioni, dai trentenni di oggi a quelli degli anni Settanta, presenta un mondo tutt'altro che verde-oro. Grazie all'attenta selezione di Jacopo Crivelli Visconti e Diego Sileo impariamo ad accostarci a un'arte di frontiera che, come fa il coltello quando penetra nella carne (titolo di una pièce teatrale dello scrittore dissidente Plínio Marcos, perseguitato negli anni della dittatura militare), va in profondità. E lacera.

Occorre quindi tempo e la lettura attenta del volumetto-guida per accostarsi ai lavori: tra installazioni, fotografie, quadri e performance la fatica è trovare il filo conduttore. Perché il Brasile è grande, variegato, multiforme: è il cemento sparso sul pavimento nell'installazione di André Komatsu, un totem di sacchi divelti appesi al soffitto che lasciano a terra la polvere, e l'opera minimale su tavole di legno grezzo di Celso Renato. Brividi davanti all'installazione di Carlos Zilio: il suo «Equilibrio» del 76, assi tagliati da una lama, suggeriscono la violenza della guerriglia cui come artista dissidente ha preso parte. Occhi sbarrati davanti a «Campo General», recente lavoro di Icaro Lira che racconta la miseria del Nordest. «La donna nera» di Carmela Gross è una statua imponente (eppure impalpabile: è fatta di tulle) mentre maniacale è la precisione con cui Daniel de Paula recupera il materiale di scarto degli acquedotti aperti da società (ora sotto inchiesta per corruzione) ordinandoli in una colossale installazione suddivisa per ere geologiche del terreno di provenienza.

Riflette sulla storia recente del Paese la grafica di Jonathas de Andrade che ripercorre l'opera pionieristica di Paulo Freire, una sorta di maestro Manzi brasiliano che s'inventò un metodo di associazione per immagini per alfabetizzare gli adulti: sua l'immagine-simbolo della mostra, la sagoma viola del Brasile bersagliata da lance. Il Pac ogni estate dà spazio a culture extraeuropee: questa mostra è una riflessione politico-estetica sul Brasile di oggi che demolisce molti stereotipi. Lo si capisce fin dalla prima sala dove campeggiano le grandi fotografie di Mauro Restiffe, realizzate a Brasilia durante l'insediamento di Lula nel 2003: che cosa è rimasto di quell'attesa gloriosa di un cambiamento mai realizzato, anzi fallito nel peggiore dei modi? Ogni sala, ponendo a confronto opere degli anni Settanta e Ottanta con lavori dell'ultima generazione ci racconta un Paese perennemente in bilico tra sogno e tragedia. Non potevano mancare le performance (forse il lato più scontato del progetto): Berna Reale oggi attraverserà alcune vie del centro con un carro rivestito di teli usati per coprire le vittime di violenza per strada in Brasile, Mauricío Ians dal 5 al 19 luglio realizzerà la sua «action». Nudo e in silenzio, trasformerà il Pac nella sua casa, vivendo solo di ciò che i visitatori gli doneranno. «Non mi aspetto nulla confessa - è un'azione artistica basata sul contatto visivo, sull'empatia.

Ciò che viene donato riflette i bisogni di chi compie il gesto».

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