Cronaca locale

Infermiera morì per intervento Tre anni a testa per i tre medici

Infermiera morì per intervento Tre anni a testa per i tre medici

È stato un regalo di compleanno dall'esito tragico: Rosa Lavorgna, una infermiera 46enne lodigiana, aveva ricevuto in dono dal marito l'operazione che desiderava da tempo, la blefaroplastica che avrebbe riportato le sue palpebre al posto giusto. Una operazione dettata non solo da vanità estetiche ma anche da esigenze funzionali, specie in considerazione della delicata professione svolta dalla donna.

Invece, da quell'intervento - una operazione di routine, che doveva iniziare e finire nel giro di un'ora o poco più - Rosa non si è più ripresa. Colpa, dice la sentenza emessa ieri dal giudice preliminare Alessandra Clemente, dell'anestesista e dei due chirurghi che quella mattina del 12 maggio 2015 nel centro medico «Montenapoleone» dovevano eseguire l'intervento. Ma qualcosa andò storto: secondo l'inchiesta, il dosaggio dell'anestetico, il propofol, era troppo alto. Quando si resero conto che le funzioni vitali della paziente stavano rallentando, i medici la fecero trasferire d'urgenza al Fatebenefratelli. Rosa Lavorgna morì sei giorni dopo senza riprendere conoscenza.

I due chirurghi si sono difesi attribuendo al solo collega anestesista la responsabilità dei dosaggi; quest'ultimo si è difeso sostenendo che, visto il tempo trascorso tra l'operazione e la morte, non si può stabilire quanto anestetico fu davvero utilizzato: ma ad accusarlo c'erano sei boli di propofol trovati nel cestino della camera operatoria. In attesa del processo, l'anestesista e uno dei chirurghi avevano trovato un accordo con la parte civile e versato un risarcimento.

Il giudice ha dichiarato tutti e tre gli imputati colpevoli di omicidio colposo e ha condannato a due anni e otto mesi di carcere i chirurghi; più pesante la pena inflitta all'anestesista, tre anni e sette mesi, perché al professionista è stata mossa anche l'accusa di peculato: il propofol infatti è un farmaco riservato all'uso ospedaliero, e per procurarselo l'anestesista non poteva fare altro che sottrarlo all'ospedale pubblico dove abitualmente lavora.

Anche il centro medico «Montenapoleone» era finito sotto inchiesta ma nei suo confronti il pm aveva chiesto l'archiviazione delle accuse.

Intanto Davide Luigi Ferrari, l'avvocato dei familiari di Rosa Lavorgna, si prepara alla causa in sede civile per ottenere il risarcimento dei danni subìti dai congiunti in conseguenza di quello che doveva essere «un intervento facile».

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