Cronaca locale

«Io, abete di Natale deriso vi dico: rispettate la natura»

Lettera semiseria dell'albero «piantato» in piazza Duomo Da 46 anni è il simbolo della vigilia, prima di essere segato

Che cosa ci faccio in piazza Duomo, piantato come un palo, davvero non lo so. Non c'entro nulla con il cemento. Io. Sono un abete rosso e l'unico asfalto che ricordo è quello che scorreva alla fine del bosco. Una lingua lunga lunga, larga solo un paio di metri. Forse tre. Chissà dove andava. Tra curve e discese. O salite. Perché dipende da come le si guarda. Dico la verità, dove portassero, non me lo sono mai chiesto. Sono un pigro. Affezionato alle mie «radici». E non mi muovo mai. Non è nella mia... natura. Tanto più adesso che sono un po' in età.E invece, guarda il caso più beffardo che strano, proprio ora che non sono un ragazzino, mi tocca cambiare aria. Dall'ossigeno di Folgaria al biossido di carbonio di Milano. Bio trauma. E fosse solo quello. È che non amo nemmeno le luci, ma nessuno ci pensa. Non è un fatto personale, per carità. Ma l'unica che conosco è quella del sole. Naturale. Spunta quando vuole, va a nanna quando decide lui. Non ci ho mai capito nulla dei suoi orari. Dev'essere un tipo indaffarato, però. Questo mi sembra chiaro.Invece da quando mi trovo qui - e ormai è qualche giorno - i raggi li vedo filtrare di rado, dietro una cortina un po' grigia. Fitta fitta. E, quasi quasi, mi vien da pensare che, in fondo, se cresco ancora un po', lo taglio io con la cima quel soffitto irreale. Il cielo. Anche se non sono più un «bambino». Perché noi alberi siamo fatti così. Ci allunghiamo sempre un po' di più, perfino quando siamo in là con gli anni. Voi uomini ve la giocate tutta da ragazzi. L'altezza, intendo. Noi continuiamo. Imperterriti. Tendiamo verso il sole, di cui - insieme all'acqua - ci nutriamo.Qui in piazza Duomo ce n'è poco, come ho detto. Non piove. E non nevica quasi mai. Roba da non credere, per un abete. In compenso, la luce che madre natura lesina avara, me l'hanno buttata addosso. Artificiale come non mai. Mi hanno riempito di palle e palline di tutti i colori. Dicono che sono più allegro, così. Ma io mi sento un imbecille. Vestito di orpelli che non conosco e dei quali ignoro il significato. E pure il divertimento.Non mi vien da ridere, insomma. E mi pare di essere un pagliaccio. Però a voi piace. Io sono un tipo statico e tranquillo. Non protesto e non mi muovo. Semmai mi scuoto. Ma è sempre un altro a provocarmi. Un signore un po' irruento e aggressivo. Si chiama vento, ma qui non è di casa nemmeno lui. Quindi eccomi qui, fermo e immobile più che mai, a spiare dall'alto cosa accade ai miei piedi.L'altro giorno sono venute due ragazze. Era già buio. Avevano il morale alle stelle. Hanno tirato fuori dalla tasca una scatoletta rettangolare che all'improvviso si è illuminata. Che cosa fosse, non saprei. Hanno allungato un braccio, cominciando a sorridere, dicendo frasi senza senso. «Facciamoci un selfie con l'albero». Ho capito solo l'ultima parola. Insomma, c'entravo anch'io. Erano molto divertite all'idea. Soprattutto perché vedevano brillare mille lucine.Mi hanno buttato sopra anche quelle. E sono preoccupato. Si surriscaldano. Dopo un po' scottano. E io mi brucio. Sono uno che ama il freddo. E non vado troppo d'accordo col fuoco. Anche per questo non ci scherzo mai. Nemmeno quando si tratta di stare al gioco di questi travestimenti carnevaleschi che ogni santo Natale, mi ritrovo fra le... braccia. In realtà, le ho intorno solo ora. Io. Prima di me è capitato a tanti altri miei simili. Mi hanno raccontato che almeno da 46 anni c'è sempre uno di noi su questa piazza, travestito come un idiota.Nel 1969 mio nonno l'hanno immortalato pure in foto. Non era merito suo, sia chiaro. Gli era toccato in sorte essere qui, mentre facevano i funerali di quei poveretti che sono saltati in aria per la bomba in piazza Fontana. Non ho mai capito perché voi uomini siate sempre così cattivi anche fra voi. Oltre che con la natura. In ogni caso, mio nonno non è più tornato. Mai saputo che fine abbia fatto.Un amico mio era qui un anno fa. Anche lui è sparito. Desaparecido. Ho chiesto e mi è stato risposto che, passate le feste, è stato «recuperato». Pensavo fosse stato riportato sulle pendici della Vigolana, invece ho capito che il senso era un altro. Al posto di bruciare il suo legno in un camino lo hanno vivisezionato. Secondo loro, «sopravvive» nelle vesti di una sessantina di panchine in giro per la città. Strana gente questi assessori verdi. Difendono l'ecologia e tagliano gli alberi. Il metrò che sta nascendo è costato centinaia di vite arboree. Bah...Quando sono venuti a prendermi, a fine novembre, mi hanno spiegato che rientravo in una selezione della guardia forestale. Ero sano, insomma, sanissimo, ma il sacrificio avrebbe migliorato il bosco. Noi alberi non ragioniamo così. Chi non cresce abbastanza. Chi non si allunga verso il sole. Muore di morte naturale. Non cacciamo via nessuno. È una sfida e una battaglia. Talvolta è la sfortuna a penalizzare chi è cresciuto nel punto sbagliato.Io invece stavo benissimo. In quel bosco di Folgaria. Ma mi hanno tolto dalle mie radici. E qui a Milano non ne ho più. Non ci sono nato. E non ho modo di cercarmi l'acqua. Morirò di sete. È piaciuta la mia mole, sono alto trenta metri. E siccome sono ben proporzionato, ho rami estesi. Qualcuno lo hanno perfino tagliato, altrimenti il trasloco non riusciva. Sono stato adagiato su un rimorchio. La punta era alla stessa altezza della base. Un metro da terra. Blasfemia floreale. Sulla cima hanno appeso un cartello. «Trasporto eccezionale». Ed effettivamente era proprio vero. Non si vede spesso che un albero viaggi in autostrada.Non so che cosa mi riservi il futuro, ma so che non mi sento troppo bene. Ho mal di testa. E alle articolazioni. Scricchiolo un po' tutto. E forse un giorno sarò una panchina anch'io. Mi avranno «recuperato», come dicono loro. O forse, riciclato. Finché son vivo, benché con aspetto cadaverico, nonostante luci e palline, voglio solo raccomandarvi una cosa. Rispettate la natura. Anche gli alberi, come gli animali, sono vita. E non meritano insulto. Né derisione. Fate bene a fare l'albero di Natale, ma fatelo finto. Artificiale. Avete il dono più grande. L'intelligenza. Usatela per creare forme originali sulla nostra fisionomia. Fatte di luce come piacciono a voi. E rispettano noi. Il vostro abete rosso.

Ancora per poco.

Commenti