Cronaca locale

"Io, il Pci e quel dolore per Pedenovi"

Presidente della Provincia nel '76, ricorda il consigliere missino ucciso da Prima Linea: "Odio barbaro"

"Io, il Pci e quel dolore per Pedenovi"

Roberto Vitali, a lungo dirigente del Pci, lei era presidente della Provincia quando fu ucciso, da Prima Linea, il consigliere Enrico Pedenovi. Sono passati 40 anni esatti. Cosa ricorda di quel giorno?

«Fui subito informato. Raccolsi le prime informazioni e convocammo il Consiglio che si riunì. Una seduta breve ma molto significativa, poca retorica, molta solidarietà e unità. Pronunciai il mio discorso e ricordo che la dura condanna ebbe il sostegno di un esponente del Pci che era stato comandante partigiano Nando Cerasi, disse che la guerra era finita il 25 aprile».

Pedenovi era un consigliere del Movimento sociale.

«Io stesso avevo una posizione molto netta sul fascismo, per convinzioni e tradizioni familiari, ma il rifiuto non si traduceva in odio. Non volevo che si vedesse un nemico in una persona, sebbene con idee radicalmente diverse».

Lei guidava una giunta di sinistra.

«La maggioranza era Pci, Psi e Psdi. Poi cercavano un accordo con le altre forze democratiche. Erano gli anni del compromesso storico. C'era una collaborazione con la maggioranza, di centrosinistra, in Regione».

Ma questa collaborazione non coinvolgeva la destra.

«No, c'era il cosiddetto arco costituzionale. Ma i due consiglieri del Msi, Pedenovi e Biglia, in aula, esponevano le loro posizioni politiche, con chiarezza, senza particolare furore ideologico, partecipavano alle commissioni, io li conoscevo solo in sede istituzionale. Si applicavano molto ai problemi concreti. Arrivavano anche suggerimenti. Io ero anche presidente del Consiglio e restavo ad ascoltarli».

I suoi compagni di gruppo uscivano dall'aula?

«Uscivano anche i cattolici se è per questo. Io stavo a sentire quel che dicevano, rispondevo e a volte tenevo conto dei loro consigli. Alla fermezza antifascista non corrispondeva mai il non ascolto, la mancanza di rispetto. Questo valeva per tutto il mio gruppo».

Pedenovi non era una «testa calda»

«No, non so come militasse nel partito, quando parlava in aula o in commissione era una persona misurata. Se va a vedere le cose che diceva c'erano anche discussioni di carattere politico ma gli interventi erano per lo più su strade, scuole. Erano temi su cui avevamo idee diverse, la questione con più contenuti ideologici era la psichiatria, per la chiusura dei manicomi. Il confronto era molto fermo qualche volta a voce alzata, ma mai fazioso».

Quei terroristi superarono il limite che dal dissenso porta all'odio.

«Noi sostenevano che lo Stato democratico offriva strumenti per una lotta politica chiara, senza sconti ma col rifiuto netto della violenza. Le persone più che avevano combattuto sul serio, dicevano abbiamo combattuto per un Paese in cui le idee non hanno bisogno dei fucili. Io vedevo con fastidio certi addolcimenti dei giudizi; non la ricerca storica, ma certe facilonerie sì. Leggevo già allora Renzo De Felice ma non mi piaceva parlare di pacificazione perché non facevo la guerra. Ma il rifiuto della violenza per me era assoluto».

La terribile uccisione di Pedenovi lo confermò.

«Fu assurdo. Mi colpì molto e quando venni a sapere che era stata colpita una famiglia, una bambina piccola, si aggiunse un dolore particolare. Ogni tanto mi veniva in mente questo politico ucciso in modo barbaro e la sua famiglia lacerata, guardavo verso il banco dove sedeva e non era certo una cosa piacevole».

Ma non andò ai funerali.

«Per due ragioni. Non volevo che ci fossero incomprensioni. E non volevo la ribalta. Avevamo uno stile che evitava gli eventi. Non fu mancanza di pietà ma non volevo pubblicità. Forse in un altro clima si poteva andare ma rinunciai a quella passerella».

Che clima si respirava in quegli anni?

«Fu messa a dura prova la capacità di resistenza del Paese. Milano dimostrò di avere una fibra democratica molto forte Non si piegò neanche sotto le bombe di piazza Fontana. Quando fu colpito Montanelli, tutta la città reagì, anche chi non lo leggeva tanto volentieri o magari si arrabbiava. Ma un conto è arrabbiarsi per un articolo acuminato, altro sparare».

Lei oggi politicamente è...

«Iscritto al Pd, credo nei valori di libertà, democrazia, giustizia sociale e uguaglianza. Non ho perso fiducia e speranza. Ho solo più rammarico per il poco tempo che resta».

Il sindaco Giuliano Pisapia due anni fa ha partecipato alla commemorazione per Sergio Ramelli, altra vittima dei terroristi rossi.

«Pisapia è persona di sentimenti antifascisti indiscutibili. Sono sicuro che l'ha fatto con lo spirito che dicevo prima. È una pazzia l'odio ideologico spinto fino a quel punto. E non mi sono intenerito adesso con gli anni. Io non lo accettavo anche allora. Ramelli era un ragazzo.

Qualunque idea avesse, era un ragazzo».

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