Cronaca locale

L'accusa di Bradburne: "La Grande Brera? È una patata bollente..."

Il direttore: "Palazzo Citterio è inadeguato a ospitare un museo, progetto da rivedere"

L'accusa di Bradburne: "La Grande Brera? È una patata bollente..."

Palazzo Citterio, il cantiere infinito: nella migliore delle ipotesi servirà ancora un anno per poter inaugurare il museo della Grande Brera. La storia è ormai nota a molti: da tempo (dal 1972 a essere precisi), la città attende che il palazzo ai civici 12 e 14 di via Brera, a un passo dalla Pinacoteca, sia restaurato e organizzato per ospitare tutte le collezioni di arte moderna, i laboratori di restauro e gli uffici del museo. Per farne, in sintesi, una BreraModern. Qualcuno lo ricorderà: giusto un anno fa, l'11 aprile, il Palazzo, dopo lavori di restauro iniziati nel 2015 e con notevole ritardo (inizialmente la consegna era prevista il 22 febbraio del 2017), venne aperto dalla Sovrintendenza. Ci si accorse però di alcuni problemini (ovvero infiltrazioni) e alla fine, dopo svariati controlli, Palazzo Citterio è stato consegnato alla Pinacoteca di Brera solo il 22 marzo scorso. «Come si consegna un bambino all'Ospedale degli Innocenti, dicendo ora è tuo'. E noi lo abbiamo accolto com'era. La patata bollente è nelle nostre mani», usa queste parole James Bradburne, direttore della Pinacoteca. Il racconto è di un cantiere dei beni culturali che pare un girone infernale. E non solo perché parliamo di un progetto iniziato 50 anni fa poi interrotto tra l'89 e il 95, rimasto in stand-by nelle mani della Sovrintendenza per poi, e siamo ormai al 2012, aver finalmente visto un concorso utile a un restauro.

Proroghe infinite hanno condotto all'unico risultato possibile di una storia pasticciata: «Palazzo Citterio non è ideoneo per essere un museo» (Bradburne dixit). Anni di lavoro e, a restauro ultimato, la beffa. Anzi, le beffe. La più grave: il palazzo non è dotato di un adeguato impianto di climatizzazione, un dettaglio non da poco per un luogo che aspira a diventare una sede museale. E ancora: il montacarichi è sottodimensionato e non permette il trasporto di una ventina di quadri di grande formato. Resteranno per sempre in Pinacoteca. E poi: il solaio è troppo basso. A questi problemi se ne aggiungono altri: la scala grigia centrale (parte del progetto Stirling-Wilford), non è ottimale per l'ingresso così come la configurazione generale, che non lascerebbe spazio per esporre tutte le collezioni novecentesche.

Con pragmaticità anglo-canadese (ma che non gli ha evitato uno sfogo: «Perché siamo arrivati a questo punto? Potrei dire perché siamo in Italia...»), Bradburne ha già pronte alcune soluzioni «fattibili». Eccole: spostare l'ingresso dal civico 12 al civico 14, più arioso; creare lì un nuovo spazio accoglienza e una nuova scala in vetro per accedere al primo piano dove saranno esposte le collezioni. Notizia di ieri: la fondazione Marconi è disposta, con la collaborazione del Comune, a cedere il celebre I funerali dell'anarchico Pinelli di Enrico Baj, che troverebbe lì spazio adeguato. Al secondo piano ci saranno gli uffici, le esposizioni temporanee, i laboratori. L'allestimento, sulla carta, è pronto: all'ingresso il visitatore sarà accolto dalla grande Fiumana di Giuseppe Pellizza da Volpedo e da opere di Segantini e Previati e dalle meravigliose Fantasie di Mario Mafai. I tempi? «Serve un anno: dobbiamo monitorare lo stato delle opere nella nuova sede, fare i lavori poi indire la gara per la gestione dei servizi. E infine, l'organico: serve nuovo personale di sala. Questi due ultimi aspetti attengono al ministero», risponde il direttore.

Mancano infatti almeno una trentina di persone all'appello. Il ministro alla Cultura Alberto Bonisoli non si è ancora pronunciato ufficialmente sulla questione e grande assente è anche la Soprintendenza regionale che in questi giorni sta valutando il «piano Bradburne».

Lo approverà? Viene da chiedersi come sia possibile arrivare a questo punto, se le modifiche non avrebbero potuto esser fatte in corso d'opera e perché l'accesso al cantiere sia stato a lungo negato al direttore della Pinacoteca.

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