Cronaca locale

L'arcivescovo Delpini: "Chiedo per noi milanesi il dono della gioia"

Le parole a braccio: "Voglio che tutti possano parlarmi e aver voce, sarò io a ascoltare voi"

L'arcivescovo Delpini: "Chiedo per noi milanesi il dono della gioia"

«Chiederei per questa Diocesi e per la società civile il dono della gioia». È la prima preghiera dell'appena nominato arcivescovo Mario Delpini. E c'è un perché molto concreto: «Noi milanesi siamo bravi, intelligenti, efficienti, ma abbiamo senso di nervosismo, scontento e lamentosità. Così chiedo allo Spirito Santo il dono della gioia». Naturalmente c'è anche un richiamo all'Evangelii Gaudium, l'esortazione apostolica di Bergoglio che mette la gioia al centro. E la visita del Papa: «Francesco, nel giorno memorabile in cui è venuto a Milano, ha ribadito che con il Vangelo viene la gioia». Un altro riferimento a Bergoglio è nel ricordo della visita alle Case bianche: «Mi pare che le sue prime parole siano state: Io vengo come un sacerdote. Vengo a parlarvi di Dio e del Vangelo di Gesù». Si presenta anche così ai milanesi il vicario generale di Angelo Scola, monsignor Delpini, anzi don Mario, come si racconta in un discorso a braccio che è un misto di dichiarazioni di umiltà da cui sembra far capolino il senso dell'umorismo che è uno dei suoi tratti distintivi: «La mia inadeguatezza si vede dal nome. Tutti gli arcivescovi hanno nomi solenni. Don Mario che nome è? Quello che mi hanno dato mamma e papà».

Ci vorrebbe «un vescovo che sia un genio», «carismatico e trascinatore», e «invece io, dalla biografia letta, sembro un impiegato di Curia» dice. E poi aggiunge su di sé colui che è stato scelto dal Papa per essere il centoquarantaquattresimo vescovo di Milano: «Tutti mi conoscono. Dicono: sì, è un brav'uomo, ma arcivescovo di Milano non so se sarà all'altezza... Questo lo avverto molto». La conclusione: «Ho bisogno di aiuto, ascolterò tutti... vorrei chiedere se si potesse ripartire».

Chiede di «impostare una convivenza fraterna che non contrapponga le religioni come nemici che si sfidano ma come cammini che aiutano a ritrovare le radici dell'umanesimo. Nessuno di noi viene al mondo per morire. Noi per vivere abbiamo bisogno di Dio».

Il cardinale Scola fa anche un suo ritratto. «Si è occupato di aspetti gestionali di governo e di questioni delicate» dice Scola tratteggiando la sua figura. E ancora: è un uomo di preghiera che vive molto asceticamente e in gran povertà, originale nello scritto e nel parlato, instancabile, dal timbro personale e aperto.

Alcune altre pennellate sul successore tratteggiate da colui che adesso è amministratore apostolico della Diocesi. Parla di «rapporti quotidiani e di grande franchezza», di «grande dono alla Chiesa di Milano», a tutte le donne e gli uomini che abitano le nostre terre. Aggiunge: «Chiedo alla società civile di accogliere il nuovo arcivescovo nel solco della grande tradizione inaugurata da sant'Ambrogio».

Scola ricorda la «delicata attenzione del Santo Padre» per la sua persona. Racconta che fin dalla sua lettera di rinuncia, in occasione del settantacinquesimo compleanno, nel novembre scorso, aveva chiesto al Papa di procedere alla nomina del successore «per evitare una situazione di stallo» e che Francesco gli aveva risposto di non avere fretta. Già allora il nome che sembrava più accreditato era proprio quello di Mario Delpini.

«Non ho alcun progetto pastorale. Una cosa sì: che tutti possano parlarmi, che tutti possano aver voce... Dovrò essere io ad ascoltare voi, quelli che sono d'accordo e quelli che non sono d'accordo, per non essere precipitosi nelle decisioni». Insomma, una collegialità in cui però, come spiega Delpini, alla fine c'è qualcuno che decide.

E quel qualcuno è proprio lui, l'uomo che il 24 settembre si insedierà solennemente in Diocesi e che nel frattempo ha già iniziato a parlare.

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