Cronaca locale

L'arte cinese ora va in scena tra Mao, Brecht e Turandot

Ai Frigoriferi milanesi 30 installazioni raccontano identità e contraddizioni del Paese tra storia e teatro

L'arte cinese ora va in scena tra Mao, Brecht e Turandot

Dopo la mostra «Il cacciatore bianco», che ha focalizzato l'arte africana attraverso la lente dell'Occidente capitalista, ecco un'altra esposizione che conferma i Frigoriferi Milanesi come il luogo cittadino in assoluto più interessante per capire che l'arte contemporanea non è una bufala; a patto che, ovviamente, ogni sovrastruttura concettualistica o folclorica sia spazzata via a beneficio di una narrazione autentica, scientifica e approfondita. E senza dimenticare che l'arte, per rispettare la sua definizione, deve anche saper emozionare appagando lo sguardo e il legittimo fabbisogno estetico. La premessa era necessaria al fine di non scambiare Il Cacciatore bianco e tantomeno la straordinaria The Szechwan Tale per le ennesime mostre sull'arte esotica - dopo l'Africa la Cina - quasi sempre calderoni poveri di idee e ricchi di artisti figli della globalizzazione e in cerca di identità. L'ultimo progetto a cura di Marco Scotini, già da lui presentato nel 2017 nel corso della Biennale della «città museo» di Anren, è un ritratto inedito dell'arte cinese che non ha alcuna pretesa cronologica, nè tantomeno di vetrina a nuovi o seminuovi talenti artistici. In via Piranesi lo spettatore è accolto da un allestimento che ricorda più una scenografia teatrale che una mostra di arti visive e viene accompagnato, palcoscenico dopo palcoscenico, in un copione fiabesco che mette ancora una volta al centro lo sguardo occidentale. Non quello subdolamente colonialista proposto dal Cacciatore bianco, ma quello «drammaturgico» di uno dei più grandi poeti e intellettuali del Novecento europeo, Bertolt Brecht. A lui, che in Cina non era stato mai, si deve infatti una delle opere teatrali più amate e popolari nel continente della Grande Muraglia soprattutto dopo la messa in scena da parte dello sceneggiatore Wei Minglun: ovvero L'anima buona del Sezuan, diretta anche da Giorgio Strehler al Piccolo nel '57. Quest'opera mitologica e allegorica, ambientata nella piccola città di Sezuan, non a caso dà il titolo a una mostra che - attraverso installazioni, opere e rari documenti - viaggia dall'inizio alla fine su un doppio binario: quello del teatro e quello della storia, cioè della vita reale. Le maschere del teatro cinese, le marionette, il travestimento come forma d'arte e i veri costumi teatrali, sono feticci presi a pretesto dal curatore e dai trenta artisti da lui scelti per raccontare drammi e contraddizioni politico-sociali di un Paese passato nel giro di mezzo secolo dalla decapitazione della borghesia a una forma brutale di capitalismo burocratico. Tutta la mostra di Scotini vola - in modo sottile ma anche piacevolmente estetico - sul filo della metafora e di un dialogo, ora dichiarato ora soltanto presunto, tra Oriente e Occidente. La rappresentazione artistica dell'esposizione poggia su alcuni capisaldi, come la citazione del famoso complesso plastico intitolato Rent Collection Courtyard, 114 figure d'argilla in scala reale che raffigurano una sorta di Quarto Stato cinese, monumentale diorama della Rivoluzione culturale. In mostra opere spesso ambigue, se non pericolosamente critiche verso il regime come l'installazione di Mao Tongqiang che riesuma dagli archivi le foto segnaletiche di cittadini epurati dalla nomenclatura comunista solo perchè imparentati con la ex classe borghese. Non mancano riferimenti al teatro vero e proprio. Quello cinese, con la documentazione filmica dei travestimenti di Mei Lanfang, geniale attore preso ad esempio da Brecht e dal teorico russo Stanislavskij quale icona dell'idea di «straniamento» tra il personaggio e l'attore. Ma anche il teatro italiano, quello lirico, è qui rappresentato con il costume originale della soprano Gina Cigna indossato negli anni '30 per la Turandot di Puccini alla Scala.

Oggi, nello spazio espositivo di via Piranesi 10, si svolgerà un incontro in cui Angela Terzani Staude parlerà della sua esperienza in Cina a partire dal suo libro Giorni cinesi e da quello del marito, Tiziano Terzani, La porta proibita.

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