Cronaca locale

L'arte contemporanea fa rinascere la dimora più antica

Le installazioni di Sol Lewitt nella gotica Casa Parravicini. Così il privato fa cultura

Francesca Amè

La Fondazione Carriero se le può permettere mostre così, mostre in cui devi trattenere il fiato e pensare, non metterti in coda per il selfie con l'opera da instagrammare. Siamo al civico 4 di via Cino del Duca, a Casa Parravicini, residenza gotica inserita nel settecentesco Palazzo Visconti: qui, due anni fa, l'industriale Giorgio Carriero, grande appassionato d'arte, ha aperto la sua fondazione, cinquecento metri quadrati su due piani, a ingresso libero. È l'indirizzo giusto per chi cerca piccole mostre di grandissimo gusto, come «Between the Lines», esposizione-omaggio per il decennale della scomparsa di Sol LeWitt (dal 17 novembre al 23 giugno, dalle 11 alle 18). La cura è firmata da Francesco Stocchi, cui spetta la direzione artistica dello spazio, e Rem Koolhaas, l'archistar olandese, già Pritzker Price, cui si deve tra le tante cose la sede della Fondazione Prada di Largo Isacco. Veste ora gli inediti panni di curatore che ammira «la forza emozionale ed immaginativa delle opere di LeWitt» e la sfida è dichiarata: esplorarne la potenza all'interno della Fondazione, specie nelle sale più piccole. «Sol LeWitt è stato per me un ottimo esempio di come si possa sperimentare e innovare per tutta la vita», dice Koolhaas. Che Sol LeWitt abbia stravolto il modo di concepire l'estetica e l'arte è cosa nota: grazie a lui il concetto, l'idea, prende il sopravvento sullo stesso oggetto artistico. Va quindi visitata in punta di piedi questa mostra-gioiello composta da sette disegni e da tredici oggetti-strutture: ci si immerge nelle sue linee («giungle acrobatiche per i miei gatti», le definì l'artista), pensate per annoiare' il progettista che, mentre realizza l'opera, si perde nell'esecuzione, trovando pace nella ripetizione e nel meticoloso dettaglio delle lunghezze e dei cerchi sempre uguali. Domina il bianco, negli spazi della Fondazione Carriero. E poi il nero della grafite, come in Scribbles, scarabocchi circolari, quasi ipnotici, realizzati su un foglio di carta appiccicato al muro grazie a matite dotate di mina sottilissima: un mese e mezzo di lavoro e tre persone all'opera per completare l'opera di LeWitt. L'aspetto più interessante di questo progetto che accosta disegni e opere volumetriche dell'artista è il suo work-in- progress: tre disegnatori ufficiali dell'Estate of Sol LeWitt, che tutela le opere del maestro, sono arrivati dall'America per dirigere il lavoro di una quindicina di diplomati alle Belle Arti (chiamati da Brera, dall'Accademia di Carrara di Bergamo e da altre accademie). Con pazienza e cura hanno riprodotto i concetti di Sol LeWitt, il primo artista a dire con decisione che il compito di chi crea è formulare il progetto mentre la sua esecuzione può essere affidata a chiunque, purché ne segua con fedeltà le istruzioni. Se pensate che le elucubrazioni di LeWitt siano asettiche, fredde o minimali, abbiate la pazienza di salire al secondo piano della Fondazione, dove in un salone infarcito di specchi c'è un disegno (su specchio): «le linee non devono essere fatte dritte con il righello», recita l'indicazione di LeWitt. La nostra immagine si riflette e si decompone tra le righe. L'arte di Sol LeWitt non resta dunque indifferente allo spazio che la ospita, e non è destinata nemmeno a durare. Finita la mostra, tutto viene distrutto.

Rimane l'idea, e a noi il ricordo e l'emozione.

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