Cronaca locale

L'arte povera di Merz, tutto il mondo in un igloo

In una grande antologica, l'opera del maestro che indagò il rapporto tra natura e artificio

Francesca Amè

Preparatevi a essere catapultati in un universo parallelo (ma non troppo): il paesaggio è privo di strade o sentieri, il percorso è tortuoso, la luce fioca. Serve tempo perché trentuno sono le tappe obbligatorie: all'inizio le scorgete da lontano tutte insieme, calotte colorate di varia forma e materia. Sono igloo, ma non igloo qualsiasi: sono figli della fantasia, in cinquant'anni di carriera, di Mario Merz (1925-2003). Nelle Navate di Pirelli Hangar Bicocca il direttore Vicente Todolì confeziona con il contributo della Fondazione dell'artista (e ottimi prestiti) una mostra «definitiva» sul più noto esponente dell'Arte Povera. Le date aiutano: siamo a 50 anni esatti dalla creazione del primo igloo e Merz resta una firma di culto. A dire il vero ce lo racconta Beatrice Merz, anima della Fondazione e figlia di Mario e Marisa, inossidabile coppia la forma dell'igloo non è stata immediata: «All'inizio papà pensava generalmente a rappresentare luoghi di condivisione». Come? Con tutto ciò che trovava in giro. «Avrebbe sfruttato qualcosa trovato qui fuori, per fare un nuovo igloo per l'occasione chiosa Todolì , di sicuro avrebbe cambiato all'ultimo la disposizione delle opere». Vetro, pietre, paglia, iuta, cera e gli onnipresenti neon: Merz onora le materie più povere di un rifugio sicuro, perfetta sintesi tra natura e artificio. Osserviamo questa «costellazione Merz» in una passeggiata inedita tra opere per la prima volta esposte l'una accanto all'altra. Si entra nella navata e, sulla destra, si rimane ipnotizzati dalla monumentale «Goccia d'acqua» dell' 87, il più grande igloo mai realizzato da Merz: una costruzione enorme non perdetevi il backstage della mostra: merita osservare quanto lavoro richiede l'installazione di opere «povere» solo in apparenza - eppur leggera, con i neon a punteggiare la volta e lo scorrere dell'acqua, tra dentro e fuori: un senso di ineluttabilità ci pervade. O lo ami o lo odi, Merz: è uno di quegli artisti che è rimasto sempre fedele a se stesso, paladino di un'arte che con materiali semplici ambisce a disegnare un modo diverso (e migliore). «Come accade con le persone, anche i suoi igloo sono tutti uguali e tutti diversi tra loro», aggiunge Todolì. Il fil rouge che lega le opere ora a Milano (in ordine cronologico, dal '69 al 2003) è la serie matematica di Fibonacci, che con i suoi numeri sempre crescenti regola la crescita della vita. La troviamo negli esemplari di igloo più semplici (come quello cucito dalle amorevoli mani della moglie, e artista, Marisa), in quelli politici' (la cosiddetta tenda di Gheddafi) e nelle complesse realizzazioni degli anni '90, con sovrapposizioni di vetri e materiali. Merz costruisce sul finir del '900 delle caverne contemporanee: hanno vetri infranti, pareti che si staccano, buchi.

Sono ripari provvisori, ma antidoto efficace alla divisione netta dei muri.

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